Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. II, 1918 – BEIC 1797684.djvu/57

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giusti respiri ne’ pagamenti, o come potrebbero quei sostenerli, che hanno libri o altre mercatanzie del valore di trenta, quaranta e cinquanta mila piastre? — E quai mezzi adoperaste per incominciar il vostro traffico? — Feci pubblicare su vari giornali tI’ Europa un paragrafo generale, il quale non diceva che questo: «N. N., libraio e cartolaio a New-York, vende libri per conto proprio ed in commissione in tutte le lingue antiche e moderne». E in men di sei mesi ricevei da Lipsia, da Amburgo, da Parigi, da Londra e da molte altre cittá non solo della carta e de’ libri, ma stampe, pitture, statue di marmo e di bronzo, e perfino spade, fucili, pistole e cento altre cose, che tengo in questa bottega. — E quando pagate quelli che vendono? — Quando quelli, che comprano, pagano me. — E perché — dissi allora — non fate venir de’ libri da qualche parte d’Italia? — Riferirò in inglese la sua risposta. — Pardon, Mr. Da Ponte; thè Italian booksel/ers are noi very liberal! — Questa risposta fu come una martellata di Bronte sulla mia calva nuca, e, mettendo come cane la coda tra le gambe, partii. Strada facendo, sentii rimescolarmisi pel cervello tutte le cose ch’ei dissemi; e, avido come io era di trovar qualche via onde agevolar la propagazione de’ nostri scrittori, determinai di far un saggio del mio credito in paesi stranieri, giacché in si poco conto io era tenuto nella mia patria; e, dovendo partir a que’ giorni un amico mio per Parigi, gli diedi una lettera pe’ signori Bossange, editori e librai rinomati di quella metropoli, nella qual lettera chiesi senza altra clausola un certo numero d’opere classiche, che trovai registrate ne’ loro cataloghi. Vedremo a’ dovuti tempi la lor risposta.

Passai in questa guisa il primo anno e quasi metá del secondo, senza che cosa accadesse atta a turbare la mia tranquillitá o ad alterare lo stato della famiglia. Passavano sul capo mio tratto tratto de’ nuvoli passaggieri, da’ soffi innalzati della malignitá, dell’invidia e della ingratitudine de’miei medesimi compatriota, che, per quanto strano possa parere, m’odiavano a morte. E, per capir bene la cosa, fa d’uopo sapere che nel corso di que’ sette anni, nei quali io era vissuto in Sunbury,