Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. II, 1918 – BEIC 1797684.djvu/75

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Vienna non amava tali spettacoli, gli volse la schiena e si mise a scrivere. Il supplicante non aggiunse parola e tutto avvilito parti. Io volea seguirlo, ma Giuseppe mi richiamò, e, dopo aver esclamato per ben tre volte — Giacomo Casanova! — tornò a parlare con me del teatro. Vidi pochi giorni dopo quell’uomo irascibile: egli era positivamente furioso. Non è facile imaginare quello ch’ei disse di quel sovrano, né, per quanto (acessi o dicessi, mi venne mai fatto di fargli cangiare opinione. Stimai finalmente che meglio fosse lasciarlo abbaiare, considerando che i latrati di Casanova non potrebber se non accrescer la luce di queU’adorabile sovrano nella mente di quelli che ambidue conoscevano. Credei nulladimeno che fosse da me il favellarne, per dare anche questa pruova della mia grata venerazione ’ alia memoria del mio adorabile signore e benefattore. Di un altro delitto gravissimo venni solennemente accusato dal signor Montani. Il soggetto n’è di somma delicatezza, e non vorrei, nel cercare scuse, fare, come suol dirsi, peggio il taccone del buco. Non potendo tuttavia resistere al desiderio a tutti naturale di procurar la difesa propria, parlerò, ma «wi/h pebb/es in mouth», come dice Byron, perché non esca se non il vero dalla mia ‘bocca. La diversitá del linguaggio tenuto da me quand’ebbi a parlar di Giuseppe e quando di Leopoldo, siccome discopre; die’egli, tutto l’ardore della parzialitá pel primo, tanto è pieno di fiele e d’assenzio pel secondo. Chiunque piu venera lá memoria di quel sovrano nella Toscana, dove piú sparse gli influssi della sua beneficenza e delle sue reali virtú, m’oda tranquillamente, e sia poi giudice mio. Io era vissuto dieci anni in Vienna, quando l’imperadore Leopoldo sali sull’ereditario suo trono. In tutto questo non breve spazio di tempo io avea, come tutti sanno, il favore goduto dell’ottimo Giuseppe, tanto per la mia condotta come cittadino, quanto per l’esercizio del mio impiego. La grazia costante di tal sovrano doveva almeno pruovare ch’io non avea commesso delitti, e di tanto m’assicurava il piú vigilante de’ magistrati e la mia coscienza. Leopoldo, che pel senno, per la clemenza e per la giustizia delle sue leggi avea meritato le