Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. II, 1918 – BEIC 1797684.djvu/99

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Il tacito giudizio di si erudito filologo mi atterri per tal modo,

he non osai piú proseguire rincominciato lavoro. Confesserò

tuttavia essermi passato qualche volta pel capo il sospetto di aver altamente offeso quel sommo critico, che il piú dolce di core non credon esser quelli che sentono col Lombardi, sebben docilissino si protesti é pronto a ravvedersi e disdirsi e a confessar il suo inganno ad ogni cenno che fatto gli venga. Trovò forse strano che un maestrino di lingua, che vive da piú di cinque lustri in America, ardisca portar opinioni diverse dalle sue nella interpretazione di Dante. Ma voi ben sapete, caro signor Biagioli, che anche il buon Omero talor dormi, e che un uomo senz’occhi trovò un ferro da cavallo, ch’altri non aveva cogli occhi trovato. Or, come è ben cosa facile che il vostro perspicacissimo ingegno vegga assai meglio di me le bellezze dantesche, ma impossibile al parer mio che piú amiate di me la gloria di quel poeta, cosí volgerommi anch’io, con permission vostra, a quei sapienti d’Italia, umilmente pregandoli di giudicarci in alcuni lochi di quel poema, che, secondo le vostre dichiarazioni, non mi paiono degni di Dante. Perché però non sia che un tessuto d’episodi questa quinta parte delle mie Memorie , porrò in una nota le differenze piú considerabili delle nostre spiegazioni, pregando qualche amico di Dante, e piú che tutti il mio venerato Colombo, di farmi udire, o per la via de’giornali o per lettere, la sua opinione, ch’io non tarderò a partecipare agli allievi miei, e prima di tutti a’ maestri ed aLunni di questo Collegio, nel quale introduss’ io primo in quell’anno stesso la mia favella, dichiarando secondo la mia intelligenza quel massimo autore, e sperando di stabilire in quello e per quelli un solido e permanente asilo alle nostre lettere. Trovai col tempo però che un tarlo nascosto, una spezie di lima sorda distruggea tutto quello ch’io per puro zelo faceva, e che, se anche mi fosse venuto fatto di porre in queil’instituto la stupenda libreria dell’Apostolo Zeno, avrei dopo tutto potuto dire con Dante: I libri son, ma chi pon mano ad essi?