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alla camera 255


Elena taceva sempre, guardando Cortis con lo sguardo fisso, scuro, che diceva in lei un’acuta intensità di passione. Egli era là con i gomiti sul banco, la testa fra le mani. Non l’alzava mai ed Elena ne soffriva, s’irritava in pari tempo di soffrirne, disprezzava questa sciocca fibra egoistica del proprio cuore. Come non sarebb’egli tutto nella meditazione del suo discorso, come dovrebbe pensare a lei?

Intanto il ministro aveva incominciato a parlare. Quasi tutti i deputati erano scesi ai banchi inferiori per udirlo meglio. Dalla tribuna della presidenza si vedeva giù la sua testa bianca volgersi ora a destra ora a sinistra, piegarsi nei radi momenti di silenzio alle carte disposte sul banco, attingervi una cifra, rialzarsi; la fluida parola riprendeva ad esporre le cose della finanza pubblica con la grande abilità che altri ammira, altri deplora. Non v’erano mai nel dire dell’on. ministro effetti oratorii; ma pure, ad ogni tratto, dei bisbigli d’approvazione correvano nell’aula, padroneggiata non tanto dall’ingegno dell’uomo, non tanto dalla perizia profonda di ogni minuto congegno del suo dicastero, materia arcana ai più, quanto dalla fama de’ suoi ardimenti e, sovratutto, dallo splendore della sua straordinaria fortuna.

«Sarà un divertimento anche questo» susurrò la contessa Tarquinia dopo un po’ di tempo. «A me mi fa star giù il fiato. E quando durerà?

«Non lo so» rispose Elena, asciutta. «Io già resto anche dopo.

«Amen» rispose l’altra.

Passavano le cifre, passavano i sottili ragionamenti, ma ben poco ne giungeva alla tribuna della Presi-