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alla camera 261


«E moglie Lei? È sorella?

«No.

«Bene, scusi; adesso non si entra.

«Ma voglio sapere...» replicò Elena fremendo.

«Cosa? Quello che nessuno sa? Potrà entrare più tardi. Aspetti là.

Le accennò la stanza chiara, rientrò presso il malato con un usciere che arrivava allora portando qualche cosa, e chiuse l’uscio dietro a sè.

Allora il deputato che le aveva parlato prima insieme a T., si accostò ad Elena, le disse che pareva trattarsi di una minaccia di congestione cerebrale, non certo leggerissima, ma neppure molto grave. Avevano adagiato l’infermo in una poltrona e stavano preparandogli il letto. La persuase che per ora non potrebbe far niente: l’opera sua diventerebbe certo utile più tardi. Entrò con lei nella stanza chiara, la fece sedere sopra un divano a fianco della porta. Là non si vedeva l’andirivieni dell’anticamera.

«Lei non si sentirà bene» diss’egli. «Avrà bisogno di qualche cosa.

Elena scosse il capo, sussurrò un grazie quasi inintelligibile, guardando la lucerna che ardeva, benchè non fossero ancora le cinque, sul tavolino davanti a lei.

«Le sedute finiscono tardi e qui si accendono sempre le lucerne per tempo» osservò colui tanto per dir qualche cosa.

Ella non rispose. Dopo qualche tempo lo pregò di non incomodarsi a star lì con lei che poteva benissimo rimaner sola. In quel punto entrò T. La contessa Tarquinia era nel corridoio ad aspettare sua