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LA SENTINELLA.



Era una delle ultime notti di gennaio; nevicava; le vie della città, le piazze, i davanzali e i terrazzini delle case, gli alberi dei giardini, tutto era bianco, sepolto, sopraccarico di neve; i fiocchi venivan giù lenti, grossi, fitti, e sullo strato nevoso lungo i muri non appena s’imprimeva un’orma, che ne spariva ogni traccia. I lampioni agli angoli delle strade mandavano intorno un chiarore velato e tristo; sui crocicchi, per quanto si guardasse avanti e indietro, a destra e a sinistra, non si vedeva nessuno; in ogni parte un silenzio cupo; si sarebbe sentito, per mo’ di dire, cader la neve.

Era una di quelle notti, in cui chi si trovi, per mala ventura, fuor di casa, s’affretta a ritornarvi; rasenta le case a passetti rapidi, muti, come un fantasima furtivo; l’occhio a terra per iscansare le pozzanghere, la tesa del cappello calata sulle orecchie e sul naso, il collo rientrato nelle spalle, il bavero del vestito rialzato sulla nuca, l’una mano ficcata nella manica dell’altra, tutto inarcato, tutto rimpicciolito; si getta a capo basso nel portone di casa, ascende le scale pestando forte i piedi fradici e scotendo i panni nevosi, caccia in furia la chiave nella toppa, entra, via il vestito, giù il cappello, in che stato! spinge la prima seggiola davanti al camino, vi si lascia cader su, un piede di qua e un piede di là, e abbassa il volto sul fuoco, e se ne sta lì,