Pagina:De Amicis - La vita militare.djvu/46

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38 l’ospitalità.

non saputo finire, e tra una domanda e l’altra, quando supponeva che tutti gli occhi fossero volti sopra di lui, pigliava in mano e fingeva di osservare attentamente il coltello o la forchetta. In fin di tavola, sorbendo il caffè, ne lasciò cadere una goccia sulla tovaglia. — Oh! Dio! — sclamò tutto turbato — scusi, sa: non l’ho fatto apposta. — E volgendosi al padrone si mise una mano sul petto. Povero giovane! disse tra sè la sorella; e portò il bicchiere alla bocca per nascondere quel po’ d’alterazione che quel senso fugace di pietà avrebbe potuto produrre sull’altera gravità del suo volto.

S’alzarono da tavola.

— Adesso... disse il soldato, e restò in asso.

— Adesso?... domandarono gli altri e stettero in atto di aspettare ch’ei finisse.

— Mi rincresce...

— Che cosa? — interrogò amorevolmente il padrone.

— Mi rincresce; bisogna ch’io me ne vada.

— Oh!

— Per forza.

— Come! Come! E perchè? proruppero vivamente il padrone e i figliuoli: — bisogna che restiate qui con noi questa notte; non siete ancora in grado di rimettervi in strada; avete bisogno di dormire; e poi con questo tempo è impossibile...

— Ma scusino...

— Ma con questo tempo è impossibile che voi vi rimettiate in cammino. Sentite. —

E tutti tacquero. La pioggia veniva giù a catinelle; la si sentiva batter forte contro i vetri delle finestre e tirava un vento d’inferno.

— Avete sentito? Come volete partire con cotesto diluvio? E con cotesto buio che non ci si vede un palmo più in là del naso?...