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100 l’entrata dell’esercito in roma.

i bersaglieri, la cavalleria. Le case si coprono di bandiere. Il popolo si getta fra i soldati gridando e plaudendo. Passano drappelli di cittadini colle armi tolte agli zuavi. Giungono i prigionieri pontificii. I sei battaglioni bersaglieri della riserva, preceduti dalla folla, si dirigono rapidamente, al suono della fanfara, in piazza Colonna. Da tutte le finestre sporgono bandiere, s’agitano fazzoletti banchi, s’odono grida ed applausi. Il popolo accompagna col canto la musica delle fanfare. Sui terrazzini si vedono gli stemmi di Casa Savoia. Si entra in piazza Colonna: un grido di meraviglia s’alza dalle file. La moltitudine si versa nella piazza da tutte le parti, centinaia di bandiere sventolano, l’entusiasmo è al colmo. Non v’è parola umana che valga ad esprimerlo. I soldati sono commossi fino a piangerne. Non vedo altro, non reggo alla piena di tanta gioia, mi spingo fuori della folla, incontro operai, donne del popolo, vecchi, ragazzi: tutti hanno la coccarda tricolore, tutti accorrono gridando: — I nostri soldati! — I nostri fratelli!

È commovente; è l’affetto compresso da tanti anni che prorompe tutto in un punto ora; è il grido della libertà di Roma che si sprigiona da centomila petti; è il primo giorno d’una nuova vita; è sublime.

E altre grida da lontano: — I nostri fratelli!

Il Campidoglio è ancora occupato dagli squadriglieri e dagli zuavi.

Una folla di popolo accorsa per invaderlo è stata ricevuta a fucilate. Parecchi feriti furono ricoverati nelle case; fra gli altri un giovanetto che marciò quindici giorni coi soldati. Il popolo è furente. Si corre a chiamare i bersaglieri. Due battaglioni arrivano sulla piazza, ai piedi della scala. I pontificii, al primo vederli, cessano di tirare; ma restano in atto di resistere.