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l’entrata dell’esercito in roma. |
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Una specie di barricata di materassi è stata costrutta a traverso il
Campidoglio. L’assalirla di viva forza potrebbe costar molte vittime;
s’indugia, forse gli zuavi s’arrenderanno, si dice che hanno paura
dell’ira popolare. Tutte le strade che circondano il Campidoglio sono
piene di gente armata che sventola bandiere tricolori e canta inni
patriottici. Intanto ai bersaglieri che attendono sulla piazza vengono
recati in gran copia vini, liquori, sigari, biscotti. La moltitudine va
crescendo, cresce lo strepito. Qualcuno, forse un parlamentario, è
salito sul Campidoglio. Parecchi ufficiali lo seguono. La folla, dal
basso, guarda con grande ansietà. Ad un tratto cadono i materassi della
barricata e appaiono le uniformi dei nostri ufficiali che agitano la
sciabola e chiamano il popolo gridando: — Il Campidoglio è libero. — La
moltitudine getta un altissimo grido e si slancia con grande impeto su
per la scala gigantesca; passa fra le due enormi statue di Castore e
Polluce; circonda il cavallo di Marc’Aurelio; invade i corpi di guardia
degli zuavi e rovescia, spezza e disperde tutto quanto vi trova di
soldatesco. In pochi minuti tutto il Campidoglio è imbandierato. Il
cavallo dell’imperatore romano è carico di popolani; l’imperatore tiene
fra le mani una bandiera tricolore. Un reggimento di fanteria occupa la
piazza. È accolto con grida di entusiasmo. La banda suona la marcia
reale, migliaia di voci l’accompagnano. All’improvviso tutte le faccie
si alzano verso la torre. Il popolo e i soldati ne hanno sfondata la
porta, son saliti sulla cima, hanno imbandierato il parapetto. Un
pompiere sale per mezzo d’una scala sulle spalle della statua e lega una
bandiera alla croce. Un fragoroso applauso e lunghissime grida risuonano
nella piazza. La grande campana del Campidoglio fa sentire i suoi
solenni rintocchi. Da tutte le parti di Roma il popolo accorre
entusiasticamente. Gli ufficiali che si trovano sul Campidoglio sono
circondati e salutati con incredibile affetto. Si grida: