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l’entrata dell’esercito in roma. 107

per vedere il fondo alle piazze ci vuole il cannocchiale; per muoversi, la carrozza; per non perdere la bussola, un volume di cinquecento pagine sotto il braccio; per non lasciarsi soverchiare dalla commozione, almeno un paio di case a Firenze che diano la rendita di cinquantamila lire. È una città che stordisce; ecco la vera parola. Non mi ricordo chi sia quell’illustre straniero che, entrando in Roma per porta del Popolo, fu sorpreso e commosso a tal segno dallo spettacolo della piazza, del Pincio, delle tre grandi strade, delle chiese, degli obelischi, di tutte le meraviglie che s’abbracciano da quella porta con uno sguardo solo, che fu costretto ad appoggiarsi sul braccio del suo vicino. Tale è veramente l’effetto che fa Roma in quel punto. Il primo bisogno che si sente è di aver accanto qualcuno da stringergli il braccio e lasciargli il livido. Se non ci fosse gente intorno, si manderebbe un grido.

Io vidi una bellissima scena. I nostri soldati entrarono in Roma per porta Pia e andarono difilato sino a Montecitorio. Fosse caso o disegno, non lo so; ma per far quel cammino passarono dinanzi ai più stupendi monumenti di Roma.

Non mi ricordo il primo entrato che reggimento fosse. Giunge in piazza di Termini, dove c’è una fontana bellissima. Per chi non ha mai visto Roma, le sue fontane, così gigantesche e fantastiche, sono una delle più profonde sorprese. I soldati si voltano, guardano e prorompono in un lungo oh! che si propaga di compagnia in compagnia, di battaglione in battaglione, man mano che giungono nella piazza. Chi rallenta il passo, chi si ferma, chi vorrebbe avvicinarsi. — Animo, animo, — dicono gli ufficiali, — ci sono altre cose più belle da vedere. — I Romani ridono al vedere i soldati tanto sorpresi di sì piccola cosa. — Vedrete ben altro, — dicono, — questo non è niente; andate, andate, ve-