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preti e frati. 119

severo: “Per essere Italiano non c’è mica bisogno di dir delle insolenze ai preti, sapete!”

Il vecchio rimase attonito.

“Non ce n’è proprio bisogno,” soggiunse il giovane allontanandosi e continuando a guardarlo. Il povero Italiano fallito non profferì più parola. Anche a lui, certo, era stato dato a credere il viendront-ils degli zuavi.

Un oste, all’apparir dei soldati, s’affrettava a nascondere certi palloncini da luminaria su cui era scritto: W. Pio IX. Un ufficiale lo sorprese, e gli disse:

“Lasciate quella roba dove si trova.”

“Ma io....”

“Lasciatela.”

“Ma io non son mica per il Papa; io son per lor signori.”

“Ma per esser per noi, non c’è mica bisogno di rinnegare il Papa!”

“Ma questa roba....”

“Ma questa roba vi potrà ancora servire, e tra poco, speriamo, perchè le cose s’aggiusteranno.”

“Lei dice bene.”

“E voi facevate male.”

Del resto, i preti mostrarono di non aver le paure che s’adoperavano a mettere negli altri. Mentre nelle vie dei villaggi la buona gente tremava per la loro vita, essi, dalla finestra, assistevano tranquillamente al passaggio dei reggimenti, e molti non abborrivano dall’onorare d’un cortese saluto gli ufficiali a cavallo.

Un solo frate mostrò d’aver paura dei soldati, e fu vicino a Civita. Veniva innanzi con un somarello verso un battaglione di bersaglieri, pallido e tremante, e giunto a pochi passi dai primi soldati, si fermò e giunse le mani in atto di chieder grazia. — Fa nen ’l farseur — gli disse un caporale. Gli altri gli domandarono notizie del Santo Padre. Qualcuno gli offrì del pane. Rassicuratosi, pareva matto dalla contentezza.