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il circolo filologico di torino. 217

di giornali; in una terza una fila di poltrone, disposte in giro come per sedervi a consiglio; poi un grazioso caffè, un vasto terrazzo, finestre spaziose, aria, fiori, lumi. Oh! qui si deve studiare colla fronte spianata e col sorriso sulle labbra! Sia lodato il cielo... ed il Circolo, che mi riconcilia colle grammatiche e coi vocabolari!

“Veda” mi diceva il mio amico, congedando due custodi che ci avevano accompagnato fino allora con assai più garbo che gli uscieri dei Ministeri; “qui, pagando cinque lire al mese, uno studente, un impiegato, un commerciante possono venir a prendere tre lezioni la settimana di francese, di tedesco, d’arabo, d’inglese, di spagnuolo, d’ungherese, di greco moderno, di russo; possono servirsi dei libri della biblioteca; possono venir la sera, d’inverno, a leggere giornali accanto al fuoco, a lavorare, a parlar la lingua che studiano; in una parola, possono passare il tempo con piacere, con utilità e con risparmio dal primo all’ultimo giorno del mese, non spendendo più di quel che ci vuole per andar due volte all’opera o dieci volte al caffè.”

Domandai chi fossero i professori.

“I professori” mi rispose, “sono i più distinti della città; basta dire che vi è il Müller, il Gras, il Segalla, il Giuliani, il De Bender, dodici in tutti. Si sono profferti a gara, rinunciando anche a quel più di guadagno che ricaverebbero dall’insegnare in altri istituti; fanno il loro dovere con amore, intervengono nelle sale di conversazione, si occupano di tutti gli allievi.”

“E chi paga?”

“Pagano i soci; sono quasi cinquecento; le poche lire mensili date da ciascuno bastano a far le spese di ogni cosa; gli allievi sono numerosissimi e appartengono a tutte le classi della società: negozianti, impiegati, avvocati, ingegneri, medici, ufficiali, preti, studenti; le scuole riboccano di scolari; v’è chi studia due lingue insieme, chi persino tre, tutte sono studiate,