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emilio zola. | 267 |
il che gli dava un’espressione più vigorosa di risoluzione e di fierezza.
Parlò del successo dell’Assommoir. Disse che, mentre scriveva quel romanzo, era le mille miglia lontano dal prevedere il chiasso che fece. Era stato costretto a interromperlo per una malattia della sua signora; ci s’era poi rimesso di mala voglia; il cuore non gliene diceva bene. Di più, un amico di cui egli faceva gran conto, letto il manoscritto, gli aveva presagito un mezzo fiasco. A lui stesso pareva che il soggetto non fosse «interessante.» Lasciò indovinare, insomma, che nemmeno dopo il suo grande successo, non era quello il romanzo a cui teneva di più.
— Qual è dunque? — gli domandai.
La sua risposta mi diede una grande soddisfazione.
— Le venire de Paris, — rispose.
E infatti la storia di quel grasso e iniquo pettegolezzo plebeo, che finisce per perdere un povero galantuomo, e che si svolge dalla prima