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rio, ricco, stupendo. In mezzo a una foresta di salici e di cipressi, s’innalzano da ogni parte colonne, cippi, tombe enormi, cappelle marmoree sopraccariche di sculture, sormontate da ardite figure d’arcangelo che levan le braccia al cielo; piramidi, gruppi di statue, monumenti vasti come case che sovrastano agli alberi più alti; e fra monumento e monumento, cespugli, cancellate, aiuole fiorite; e nell’entrata, tra questo e l’altro campo santo, una stupenda chiesuola di marmo, cinta di colonne, mezzo nascosta dagli alberi, che prepara nobilmente l’animo al magnifico spettacolo del di dentro. All’uscire da questo giardino, si riattraversano le strade deserte della necropoli, che paiono anche più silenziose e più triste che al primo entrare. Varcata la soglia, si risaluta con piacere le case variopinte dei sobborghi di Barcellona sparse per la campagna, come avantiguardie messe là ad annunziare che la popolosa città si dilata e si avanza.


Dal Camposanto al caffè, è un bel salto; ma viaggiando se ne fanno anche di più lunghi. I caffè di Barcellona, come quasi tutti i caffè della Spagna, sono un solo vastissimo salone ornato di grandi specchi, con tanti tavolini quanti ce ne posson capire; dei quali è raro che rimanga libero un solo, neanco per una mezz’ora, in tutta la giornata. La sera son tutti pieni, affollati, da dover molte volte aspettare un bel pezzo per avere un posticino accanto alla porta; intorno a ogni tavolino, v’è un crocchio di cin-