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28 barcellona.

che dal predominio politico assunto dalla Castiglia che impose l’idioma suo come idioma generale dello Stato. E benchè sia una lingua aspra, tutta parole tronche, ingrata, sulle prime, a chi abbia nulla nulla l’orecchio delicato, ha nondimeno dei pregi notevolissimi, dei quali i poeti popolari si valsero con ammirabile maestria, prestandosi essa particolarmente all’armonia imitativa. Una poesia, che mi recitarono, di cui le prime strofe imitano il rumore cadenzato d’un treno di strada ferrata, mi strappò un grido di meraviglia. Ma senza spiegazioni, anche per chi conosca la lingua spagnuola, il Catalano non è intelligibile. Parlan presto, coi denti stretti, senza aiutar la voce col gesto, così ch’è difficile cogliere il senso d’un periodo anche semplicissimo, ed è un gran chè se s’intende qualche parola di volo. Anche la gente del popolo, però, parla, quando occorre, il castigliano, stentatamente e senza grazia; ma sempre assai meglio che non si parli l’italiano dal basso popolo delle Provincie settentrionali d’Italia. Neanco le persone colte, in Catalogna, parlano perfettamente la lingua nazionale; il castigliano riconosce il catalano alla prima, oltre che alla pronunzia, alla voce, e sopratutto alla illegittima frase scarsa. Per questo uno straniero che vada in Spagna coll’illusione di saper parlare la lingua con garbo, può, fin che sta in Catalogna, serbar la sua illusione; ma quando penetri nelle Castiglie, e senta per la prima volta quello scoppiettío di frizzi, quella profusione di proverbi, di modi, d’idiotismi arguti ed efficacissimi, che lo fan