Pagina:De Blasis - Leonardo da Vinci, 1872.djvu/15

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leggi della pittura ordinaria. Egli non ha nè luna, nè sole, nè prospettiva, nè scala di colori; egli corre come un pianeta sviato nella regione dei fenomeni e delle meteore. Ma non è concesso che ai genii poetici d’intravederlo e di scrutarlo; — quindi, personaggi chimerici, diavoli, esseri strani, metà reali e metà magici, frammischiati di verità e di sogni; stile delle tavole shakespeariane. Le immaginazioni poetiche, che dar sanno agli spiriti un corpo, e ad ogni corpo uno spirito, vivono d’ordinario nelle brevi ore del loro delirio, abitatori di un mondo che non esiste, e fingon del pari, e con passione eguale, una silfide amante, un’ondina, una salamandra, o altro spirito elementare, od un fiore, un albero o qualunque siasi pianta. Sopra queste idee fantastiche si basarono la matita ed il bulino di Leonardo: ciò che poi fecero, imitandolo, Salvatore Rosa, Callot, Fuseli, e parecchi altri.3

Il Vinci trattò magistralmente tutti i generi della pittura, tutti i caratteri, da Apelle al Callota, ciò che provano i suoi quadri a olio ed i suoi affreschi; applicossi anche a dipingere rabeschi, fiori, frutta, erbe, in modo diligentissimo ed assai vago. Trattò tutte le parti dell’arte e in tutte riuscì. Insomma, ogni ragion di cosa disegnava, imitava, e, ponderando, faceva servire alle idee sue, le quali sempre furono grandi, nuove, ardite ed utili.

Dotto matematico ed ingegnoso meccanico, fece macchine per artiglierie, per chiese, e saracinesche, opere idrauliche, armi, ed armi antiche adattate all’uso moderno. Perfino tentò il volo; fece correre davanti a Lodovico XII re di Francia un leone con macchine che gli aprivano il petto per dischiudere i gigli di Francia: omaggio a questo principe, il quale ne fu soddisfattissimo. — Dicesi pure che Leonardo, accompagnando da Firenze a Roma il duca Giuliano de’ Medici, facesse per suo diletto