Pagina:De Cesare - Roma e lo Stato del Papa I.djvu/104

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86 capitolo vi.

mento del paese, e vivevano sul maggiorasco. A differenza degl’inglesi, i cadetti delle grandi famiglie romane abborrivano dalle armi come i loro antenati, anche perchè i tempi erano mutati, preferendo entrare nel personale dei rioni, o goder prelature, abbazie o prebende, o abbracciare la carriera ecclesiastica, dopo aver conosciuto il mondo in tutte le sue debolezze. Va da sè, che il cadetto era considerato dal fratello maggiore come uno dei tanti succhioni del patrimonio; e quegli considerava questo come un usurpatore, benchè le apparenze fossero le più rispettose e sottomesse.


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In un simile ambiente amministrativo non è difficile ricostruire l’ambiente morale. Abituato a non vedere ostacoli, e a non sentire consigli, cozzanti coi propri istinti; cresciuto fra adulatori e clienti, che gli ripetevano essere lui diverso dal resto degli uomini; educato da pedagoghi, che il Belli eternò nel famoso sonetto; discendente da Papi e da cardinali; imparentato con famiglie regnanti; partecipe della sovranità, perchè collocato in condizioni d’indiscusso privilegio, qual meraviglia che il patrizio romano assumesse nella vita forme sprezzanti, e si rendesse quasi invincibile in lui la ripugnanza a trattare con quelli, che reputava da meno, e che però erano i soli che, a suo avviso, dovessero obbedire alle leggi? Nei patrizi si rispecchiava ordinariamente l’indole dei loro educatori ecclesiastici, invasi da pregiudizi d’ogni genere. Non era possibile, anche per questo, che accettassero i mutamenti politici, i quali urtavano troppo con le loro tradizioni e tendenze, e che riconoscessero altre gerarchie, rassegnandosi a prendere in queste il secondo o il terzo posto. E di qui le antinomie stridenti, per cui si videro alcuni inclinare alla repubblica, o anche al socialismo; o preferire alla corte del Re laico quella del Papa; o abbandonare alti uffici in corte, per non stare in piedi dietro i sovrani, o seguirli quasi come primi camerieri; o non invitare ai loro balli, dopo il 1876, ministri di altro partito; o, come il duca di Sermoneta, deputato di Velletri, passar da destra a sinistra in seduta pubblica, e poi piantar la politica e ritirarsi a vita privata, mordace dispregiatore di quel nuovo ordine di cose, che, con l’autorità del suo