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Pagina:De Cesare - Roma e lo Stato del Papa I.djvu/305

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ratto del fanciullo mortara -— gli ebrei a roma 287

Nel dettagliare però il doloroso fatto, lo rivesti con più miti colori, e sostenendo che gli ordini dati furono di procedere con ogni moderazione, di persuadere la madre alla cessione spontanea del figlio con divieto di usare la menoma violenza, volle far credere che la cosa con tutta calma avea avuto il suo effetto, essendochè nelle ore pomeridiane del 24 giugno, presentatoglisi il padre, combinò seco lui che alla sera si sarebbe consegnato il bambino ai gendarmi, inducendo intanto la moglie al distacco. Diffatti con tutta tranquilità la madre aveva lasciato il fanciullo, si era ritirata in altra camera, ed il ragazzo senza alcuno strepito era stato messo in carrozza da un ebreo e tradotto a Roma.

Cotali pretese però rimangono smentite da tutti i testimoni presenti al fatto, e d’altronde il P. Feletti dichiara di parlarne per altrui referto.

Eccepì pure che nel fatto egli non aveva eseguito che gli ordini abbassatigli dal supremo Tribunale del Sant’uffizio in Roma, che, a suo dire, non emana mai alcun decreto senza il consenso del Sommo Pontefice, ed esternò quindi alta sorpresa nel sentire imputarglisi a delitto il detto fatto accaduto da due anni, ed ordinato dal governo che in allora aveva la direzione di queste provincie.

Il non avere l’inquisito saputo o voluto giustificare la premessa eccezione esibendo il dispaccio che nella ipotesi gli dovette essere trasmesso da Roma, o producendone altra legittima prova.

Per quanto gli si ricercasse l’esibita di quel documento, non volle prestarsi, adducendo di non poterlo fare senza incorrere nelle censure ecclesiastiche.

L’essere in atti piuttosto esclusa una tale eccezione, poichè escussi il maresciallo Caroli ed il brigadiere Agostini, che videro la lettera del P. Feletti al De Dominicis per la presa del fanciullo, senza poterlo in modo positivo assicurare, esternarono avviso che nella medesima non fosse affatto dal P. Feletti richiamato il preteso ordine della Sacra Congregazione.

L’aversi, come presunzioni contrarie alla pretesa dell’inquisito: 1° che il medesimo in costituto non ha osato di affermare in modo assoluto ed indubitato il richiamo di quell’ordine nella sua lettera al De Dominicis; 2° che il rettore dei Catecumeni a Roma, nel ricevere in consegna il fanciullo dall’Agostini, disse di avere in proposito avuto la opportuna partecipazione dal P. Feletti; 3° che l’Agostini al suo ritorno da Roma, in premio della traduzione del ragazzo, ebbe da quello la somma di scudi quattro.

È però un fatto che al Padovani ed al Moscato, allorchè la notte del 23 andarono a supplicare per la proroga della esecuzione, e quando nel dì seguente il padre del fanciullo si presentò a chiedere una ulteriore dilazione, il P. Feletti fece conoscere che l’ordine della presa partiva da Roma.

Il non avere il P. Feletti saputo o voluto giustificare il dedotto battesimo del fanciullo Mortara.

Come pendente la esecuzione a carico del ragazzo aveva risposto alle ricerche del padre e dei parenti ignari dell’affacciato di lui battesimo, che non poteva darne alcuna spiegazione, alcuno schiarimento, ma che erasi proceduto in piena regola dal Tribunale del S. Uffizio composto di tutte persone