Pagina:De Cesare - Roma e lo Stato del Papa I.djvu/306

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288 capitolo xv.

integerrime, il P. Feletti si mantenne su ciò anche all’atto dell’arresto nel più riservato silenzio, allegando il vincolo del prestato giuramento di non rivelare cose appartenenti alla Sacra Inquisizione.

Di coerenza ne’ costituti giudiziali non volle punto prestarsi alle ricerche sul proposito, adducendo genericamente che dalla Suprema Sacra Congregazione erasi conosciuto che il fanciullo Mortara fu battezzato in pericolo di morte, e ricusò non pure la esibizione degli atti da lui e da altro Padre incognito elevati per iscritto sulla sussistenza di quel battesimo, ma non volle, ad onta di reiterate ammonizioni, tampoco indicare come, quando, e da chi al Mortara fosse stato conferito il sagramento, per quale organo ne fosse pervenuta la notifica al S. Uffizio, e quali verifiche ne fossero state assunte.

Esso, invece di fornire le richieste prove di fatto, ebbe ricorso al soprannaturale, adducendo quali segni non dubbi del ricevuto sagramento: che il fanciullo, nella sera del 24, lungi dall’affliggersi al distacco della famiglia, in mezzo al dolore degli altri rimase impassibile e quieto, anzi con volto ilare e sereno si dispose alla partenza; che nelle varie fermate lungo il viaggio chiedeva al brigadiere Agostini di essere condotto in chiesa; e che ne’ vari colloqui avuti successivamente in Roma coi genitori, ed in un incontro colla madre in una chiesa di Alatri, aveva saputo resistere alle fattegli tentazioni di tornare alla casa paterna ed alla religione ebraica.

L’essere cotali deduzioni smentite dal deposto di più testimoni circa al contegno del fanciullo al momento della separazione dalla famiglia, come pure durante il viaggio a Roma, e dalla negativa dei genitori sulla dimostrata di lui vocazione al cristianesimo negli abboccamenti avuti nella Dominante.

Il non essere riescito alla Curia di raccapezzare d’altronde la prova del battesimo, poichè la Polizia, opportunamente ricercata, non seppe fornire alcun elemento, e le ricerche giudiziarie non valsero ad attingere una tal prova, senonchè dalla nuda assertiva di un’Anna Morisi che avrebbe conferito il sagramento.

Narra colei che nel 1852, essendo a servire coi Mortara, allora abitanti in via Vetturini, il fanciullo Edgardo nell’età di otto mesi cadde gravemente ammalato di una sineca; che i genitori, temendo della di lui vita in onta alle dichiarazioni rassicuranti del chirurgo dottor Pasquale Saragoni, erano stati a vegliare tutta una notte, e alla mattina essa li vide addolorati nella camera ove giaceva l’infermo, in atto di leggere un libro ebraico, libro solito a leggersi dagli israeliti sui moribondi. Che spaventata, essendosi poco dopo condotta a comprar olio dal vicino droghiere Cesare Lepori, questi l’avea istigata ed istruita a dare il battesimo al fanciullo, conforme restituitasi a casa, e colto un momento in cui i padroni dalla camera ove giaceva in culla il bambino eransi ritirati nella propria da letto, attinto prestamente dal pozzo un caliedro di acqua, e presone un bicchiere, aveva amministrato al fanciullo il battesimo, senza che alcuno se ne avvedesse; che il fanciullo contro l’aspettativa era guarito, e che essa non aveva mai parlato ad alcuno sul particolare, e neppure al confessore; che solo pochi mesi innanzi di lasciare il servizio dei Mortara, ossia sullo scorcio del 1857,