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ratto del fanciullo mortara -— gli ebrei a roma 293

In questo fausto giorno, in cui l’albore
Spuntò di vostra vita, io pur nel canto
V’offro e presento del mio affetto il fiore.
Non di duol, ma di gioia è il nostro pianto:
Dopo l’assenza e sì crudeli prove,
Piangere insieme è un bello e dolce incanto...
Ora le nostre gioie e fresche e nove,
Come la primavera dopo il verno,
Come i fior dopo i nembi, il ciel le piove.
Dal fondo del mio cuor prego l’Eterno
Che vi conservi insieme ai vostri cari,
Di questa vita nell’oscuro inverno;
Che da voi cacci i giorni tristi e amari,
Che di gigli e di rose vi coroni,
E piacer vi conceda senza pari.
E che i consorti, così dolci e buoni,
Con questi amati angelici figliuoli,
Delle vostre virtù sian guiderdoni.
Ma in queste gioie, ah! no, non sarem soli:
Ci uniamo tutti all’adorata madre,
Che sue le faccia, come i nostri duoli.
O cara madre, nove volte madre,
Stringine tutti all’amoroso petto,
Pur ricordando quel compianto padre,
Che se qui fosse, ah! forse del diletto
Teco morrebbe, ed or lassù nel cielo
Ne porge ancora il pegno di suo affetto.
Ah! sollevando del passato il velo,
Il freddo sasso, che i suoi resti chiude,
Baciam tre volte con ardente zelo.
Non pianger, madre: l’avvenir ne schiude
Altre gioie per te non già furtive,
Ma sempiterne, se il cuor non 8’ illude.
Madre, non pianger, placide e festive
Le nostre alme s’intrecciano, per poi
Unirsi sempre nell’eterne rive.
Tu ne desti la vita, e tutti noi
Frutto siam del tuo sen, tutti tuoi figli,
E, te felice, lo sarem pur noil!...
Vivi contenta, tu di rose e gigli
Non vuoi corona, ma sol cerchi e brami
Il bel serto dei nove amati figli!...
Dei nove figli che tu adori ed ami
Coi tuoi nipoti tanto, che più morte
Vorresti, o madre, che vederli grami.