Pagina:De Roberto - Al rombo del cannone, Milano, Treves, 1919.djvu/30

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18 una absburgo in italia

linguaggio che non è, come pare, espressione di forza. Un odio profondo, istintivo, tenace, la infiamma contro la Francia democratica che ha rovesciato la monarchia nazionale e minaccia le straniere, che le ha ucciso il cognato e la sorella. I segni verbali di questo sentimento cieco e inestinguibile si moltiplicano sotto la sua penna: i Francesi sono «birbanti, briganti, miserabili, scellerati, maledetti, canaglie, pazzi, forsennati, pirati, assassini, vandali, tigri, mostri»; il suo augurio è che quella «infame nazione sia tagliata a pezzi, annichilita, disonorata, ridotta a nulla per almeno cinquant’anni»; ella non vede altro rimedio che armarsi in massa contro di lei, «col crocifisso in mano» — l’espressione è del 1793, e il cardinale Ruffo se ne rammenterà sei anni dopo in Calabria — nè giudica che vi possa esser salvezza per il mondo se Parigi non sarà «rasa al suolo»; la sua ultima speranza è riposta in 50 mila Turchi che «saccheggino ogni cosa» - solo i Turchi sono, a suo giudizio, «franchi e leali» — oppure in 20 mila Albanesi ai quali direbbe: «Amici miei, saccheggiate, mangiate, rovinate....»; ma, con tanta sete di vendetta, ella è tutt’altro che sorda ai consigli della moderazione quando giunge il momento di agire, e se lavora a cementare la coalizione dei potentati contro la «scelleraggine francese», ordina all’ambasciatore di tener nascosto questo maneg-