Pagina:De Roberto - Al rombo del cannone, Milano, Treves, 1919.djvu/173

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io, e vide e udì ciò che a tutti gli osservatori sfuggiva allora, e doveva ancora sfuggire per lungo ordine d’anni: "segni in fondo alle cose, come un mormorio che partiva non si sa donde, indistinto e indefinibile; conversazioni rare, parole interrotte, improvvisi entusiasmi che scoppiavano e svanivano come lampi: la grandezza della Germania....".

Paolo Gautier, raccogliendo oggi tutti gli articoli nei quali, dal 1831 al 1870, il Quinet avvertì la Francia di ciò che si preparava nell’animo della nazione rivale, ci dà modo di apprezzare la singolare chiaroveggenza dello scrittore. Mentre il popolo tedesco pareva ancora, come era parso a lui stesso nella prima fase dell’ammirazione, e come forse era stato in altri periodi della sua storia, contemplativo, meditabondo, rifuggente dalla realtà, incapace di passare dalle idee agli atti - "annegato nell’infinito", aveva detto la Staël - il Quinet colse i sintomi del mutamento, dell’orientazione dello spirito pubblico verso l’attività pratica e politica, dell’aspirazione all’unità nazionale, dell’ambizione di farsi largo nel mondo: sentimenti e movimenti già così profondi, "che non resta più a quel popolo se non afferrare la corona universale".

Queste parole sono del 1842. Undici anni innanzi, scrivendo al Michelet, Edgardo Quinet