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ii - i toscani | 33 |
si l’adorasti, o di grazia piena, poi sopra il fíen nel presepio il ponesti; con pochi e pover’ panni lo involgesti, maravigliando e godendo, cred’io. Oh quanto gaudio avevi e quanto bene, quando tu lo tenevi nelle braccia! Dillo, Maria, ché forse si conviene che un poco per pietá mi satisfaccia. Baciavil tu allora nella faccia, se ben credo, e dicevi: — O fígliuol mio! — Quando «fígliuol», quando «padree signore», quando «Dio», e quando «Gesú» lo chiamavi; oh quanto dolce amor sentivi al core, quando ’n grembo il tenevi ed allattavi! quanti dolci atti e d’amore soavi vedevi, essendo col tuo fígliuol pio! Quando un poco talora il di dormiva, e tu destar volendo il paradiso, pian piano andavi che non ti sentiva, e la tua bocca ponevi al suo viso, e poi dicevi con materno riso: — Non dormir piú, ché ti sarebbe rio. |
Sotto l’impressione del sentimento religioso, Iacopone indovina tutte le gioie e le dolcezze dell’amor materno. Iacopone non concepisce il divino nella sua purezza, come un teologo o un filosofo, ma vestito di tutte le apparenze e gli affetti umani. Questa è una scena di famiglia, còlta dal vero, con una franchezza di colorito e con una grazia di movenze, tutta intuitiva. Preghiere, sdegni, follie d’amore, fantasie, estasi, visioni, tutto trovi in Iacopone al naturale e come gli viene di dentro: ciò che ci è piú semplice e commovente, e ciò che ci è piú strano e volgare. La forma è il sentimento esso medesimo: ed ora è
soave, efficace, quasi elegante; ora stravagante e plebea. Ha una facilitá che gli nuoce, ed un impeto di espressione che non dá luogo alla lima. Ma ne’ suoi impeti gli escono forme di dire cosi fresche e felici, che non disdegnarono d’imitarle Dante
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