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Il che non avvenne del notaio da Lentino, di Guittone, rimasti al di qua del «dolce stil nuovo», perché esagerarono i sentimenti, andarono al di lá della natura, per «gradire», piacere a’ lettori:

                                              E qual piú a gradire oltre si mette,
non vede piú dall’uno all’altro stilo.
     

Di questo dolce stil nuovo il precursore fu Guido Guinicelli, il fabbro fu Cino, il poeta fu Guido Cavalcanti. La nuova scuola non era altro che una coscienza piú chiara dell’arte. La filosofia per sé sola fu stimata insufficiente, e si richiese la forma. Guittone d’Arezzo non fu piú apprezzato, quantunque «di filosofia ornatissimo, grave e sentenzioso», come dice Lorenzo de’ Medici, perché gli mancava lo stile, «alquanto ruvido e severo, né di alcun dolce lume di eloquenza acceso». Anche Benvenuto da Imola chiama «nude» le sue parole e lo commenda per le gravi sentenze, ma non per lo stile. Nasceva in Firenze un nuovo senso, il senso della forma.

A quel tempo fra tante feroci gare politiche la letteratura era nel suo fiore in tutta Toscana e sotto i piu diversi aspetti. Dante da Maiano era un’eco de’ trovatori, con la sua Nina siciliana. Guittone, Brunetto, Orbiciani da Lucca erano poeti dotti ma rozzi, come i bolognesi Onesto e Semprebene. Ma giá il culto della forma, l’amore del bello stile si sente in parecchi poeti. Dino Frescobaldi, Rustico di Filippo, Guido Novello, Lapo Gianni, Cecco d’Ascoli sono il corteggio, nel quale emerge la figura di Guido Cavalcanti.

Ma ben presto al nome di Guido Cavalcanti si accompagnò quello di Dante Alighieri, legati insieme da un’amicizia che non si ruppe se non per morte. Parvero le «nuove rime», e fu tale l’impressione ch’ei sali subito accanto a Cavalcanti. Sembrò che avesse risolto il problema di esprimere le profonditá della scienza in bella forma: ultimo segno a cui si mirava. Perciò ebbe molta voga la sua canzone:

                                         Donne, ch’avete intelletto d’amore;