Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. I, 1912 – BEIC 1806199.djvu/69

Da Wikisource.

iii - la lirica di dante 63


nell’altro mondo e che qui non è che Beatrice, fenomeno, apparenza, velo della eterna veritá. Se la terra è un luogo di passaggio e di prova, la poesia è al di lá della terra, nel regno della veritá. Beatrice comincia a vivere quando muore.

Un mondo cosí mistico e spiritualista nel concetto, cosí dottrinale nella forma, se può essere allegoricamente rappresentato dalla scultura, se trova nella pittura e nella musica le sue movenze, le sue sfumature, il suo indefinito, è difficilissimo a rappresentare con la parola. Perché la parola è analisi, distinzione, precisione, e non può rappresentare che un contenuto ben determinato e ne’ suoi momenti successivi piú che nella sua unitá. Analizzate questo mondo, e vi svanisce dinanzi come realtá o vita: l’analisi vi porta irresistibilmente al discorso, al ragionamento, alla forma dottrinale, che è la negazione dell’arte. Non bisogna dimenticare che la vita interna di questo mondo è la scienza, come concetto e come forma: la pura scienza, non penetrata ancora nella vita e divenuta fatto. È vero che per Dante la scienza dee essere non astratto pensiero, ma realtá. Se non che il male è appunto in questo «dee essere». Perché, prendendo a fondamento non quello che è ma quello che dee essere, la sua poesia è ragionamento, esortazione, non rappresentazione, se non in forma allegorica, che aggiunge una nuova difficoltá ad un contenuto cosí in se stesso astruso e scientifico.

I contemporanei sentirono la difficoltá e credettero vincerla con la rettorica, ornando quei concetti di vaghi fiori. Anche Dante credeva rendere poetica la filosofia, dandole una bella faccia. Certo, questo era un progresso; ma siamo ancora al limitare dell’arte, nel regno dell’immaginazione. Guinicelli, Cino, Cavalcanti non possono attirare la nostra attenzione, e neppur Dante, ancorché dotato di un’immaginazione cosí potente. Anzi egli riesce meno di questi suoi predecessori nell’arte dell’ornare e del colorire, perché quelli vi pongono il massimo studio, non essendo il mondo da essi rappresentato che un gioco d’immaginazione, dove a Dante quel mondo è lui stesso, parte del suo essere, e ha la sua importanza in se stesso: ond’egli è sobrio, severo, schivo del «gradire» e spesso nudo sino alla