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forma come un pretesto per rappresentare le sue idee. Ecco la differenza essenziale tra la forma dantesca e la neo-dantesca, cioè quella degli scrittori del secolo XVIII che credono riprodurre la prima. Da una parte astrazione, dall’altra essere vivente.

Ma queste idee, queste qualità astratte concepite astrattamente, bisogna incalorirle, perché il poeta non è il filosofo. Ed Alfieri era poeta, avea sentimento ed immaginazione. Cosa si fa quando avete innanzi un’invitta astrazione, l’essere del vostro intelletto? Gli si dà un calore il quale non nasce da lui in quanto si muove nelle condizioni reali, perché è un essere astratto: è quello un calore comunicato dall’immaginazione del poeta. Timoleone è più caldo e più eloquente di Farinata, parla per cinque atti, mai ci fa una impressione, perché il calore gli viene da fuori; è il poeta che solo sta tra i suoi personaggi e cerca dar loro il fuoco del proprio pensiero. Oggi ci è una bella frase, venutaci dal francese, molto caratteristica: «egli si sdegna a freddo». Indica sdegno rettorico, non esistente in fatto nell’animo, venuto da fuori, dall’immaginazione. Tal è il sentimento nella forma del secolo XVIII.
Quando si hanno esseri che non vivono, senza realtà nella vita contemporanea, che sono concetti, che avviene? Il poeta non sente necessità di concepirli con certe forme storiche, gli è indifferente che il greco abbia veste greca o italiana, che l’italiano moderno vesta come l’antico. Dico «veste» parlando di forma in generale. Perciò quegli uomini che aveano quegl’ideali astratti li vestivano con le forme cui erano avvezzi nelle scuole, dalla loro educazione. E si ha il fenomeno singolarissimo che la letteratura del secolo XVIII, nuova pel contenuto, rimanga inviluppata nelle forme antiche. Il contenuto nuovo apparisce in una Italia che fa frasi, senza coscienza.
In Parini, Alfieri, Foscolo c’è anima nuova che comparisce all’antica. Quelle forme che oggi diciamo classiche, che sono? Una certa solennità, una certa gravità: non le greche, ma le latine sono prevalenti, e si usa dire: «la maestà latina». Tutti gli studii di latinità davano alla forma una solennità come di chi sta sul piedistallo o in pulpito, come sto io ora.