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108 giacomo leopardi
Ma l’espressione de’ sentimenti non corrisponde alla vaghezza e proprietà delle invenzioni: talora è dura e appena abbozzata, come:
                    .   .   .   .   .   .   .   .   doloroso
Io vivo, e tal morrò, deh tosto!
che ricorda la crudità di Alfieri: talora è metaforica e convenzionale, come parlando del suo petto «rovente»:
                    Con sua fredda mano
Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto
Nel fior degli anni:
che ricorda le freddure di Cesarotti.

La parte più viziosa è l’apostrofe alla luna, piena di reminiscenze e in tono semi-tragico. La parte più poetica è non dove descrive, ma dove narra le sue impressioni e ti getta in quel certo stato pensoso e fantastico, che i francesi dicono il «rêve»:

Pur se talvolta per le piagge apriche,
Su la tacita aurora o quando al sole
Brillano i tetti e i poggi e le campagne,
Scontro di vaga donzelletta il viso;
O qualor nella placida quïete
D’estiva notte...
L’erma terra contemplo, e di fanciulla
Che all’opre di sua man la notte aggiunge,
Odo sonar nelle romite stanze
L’arguto canto; a palpitar si move
Questo mio cor di sasso...

Il canto di una tessitrice o l’incontro di una vaga fanciulla sono accidenti ordinarii, che pur qui toccano il cuore e muovono l’immaginazione per il modo come sono collocati e lumeggiati.

De’ cinque idillii questo ritrae più dell’idillio nel suo senso volgare; ed è anche il meno interessante, sì per l’ineguaglianza dell’espressione, e sì per l’importanza secondaria della materia.