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xv. 1821-22 - il «bruto» e la «saffo» 147

ispirata, va a finire in un’apologia del suicidio, con le debite argomentazioni. Pure in ultimo si rialza.

Il poeta alza l’espressione a’ maggiori effetti dell’arte, condensa e scolpisce, studia nuove armonie. Pure non manca qualche stiracchiatura, o oscurità, o durezza, o reminiscenza, come sono «le cave nebbie», con quel «pentimento a tergo». Ci è sempre un fondo latino, un arieggiare Foscolo, un gusto non in tutto sicuro, un po’ di rettorica.

Nondimeno questa poesia, per l’altezza dell’intonazione e per certi felici effetti estetici, rimane una delle più notevoli.

Ispirata dagli stessi fini è la Saffo.

Cercando ne’ suoi studi dell’antichità personaggi e idee conformi al suo stato, Saffo dové fare sull’animo suo una impressione assai più gagliarda che non Bruto. La disperazione di Bruto nasce dalla piena orchestra di una vita virile: l’amore della virtù, il desiderio della gloria, la libertà della patria, la grandezza di Roma, la fede negli Dei, nella natura e nelle sorti umane. E quando conosce la vanità di tutti questi amori, rimane nel vuoto. Quando ha scoperta la vanità della vita, si toglie la vita. Ma in Leopardi di tutta questa orchestra solo una corda vibrava, la corda femminile. E doveva sentirsi più vivo in Saffo, che in Bruto. La vita pubblica di Bruto gli era aliena, e nello stato in cui natura lo aveva messo, a quegli alti fini non poteva avere che una partecipazione rettorica. Quella sua esaltazione giovanile, che piace tanto nelle prime lettere al Giordani e che gl’ispirò nobili canti patriottici, andava sempre più diminuendo, secondo che più in lui si raffreddavano gli spiriti vitali e le speranze patrie. Quegli alti fini che movono gli uomini, non erano quasi più in lui che fini di parata, e non avevano che troppo debole eco nel suo intimo. Roma e Bruto avevano un’azione sul suo cervello e anche sulla sua immaginazione; gli svegliavano un calore di reminiscenze e di amori classici, ma non giungevano a toccargli il cuore.

Rinchiuso nel suo particolare, freddo a ogni più grande azione della storia, incredulo e fino talora beffardo in tanto moto di uomini e di cose, era rimasto solo col suo povero cuore sitibondo