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Pagina:De Sanctis, Francesco – Giacomo Leopardi, 1961 – BEIC 1800379.djvu/196

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Leopardi stimava la lingua del trecento attissima a tradurre dal greco con semplicità ed efficacia. E lo mostra nel volgarizzamento di Senofonte, notevole per proprietà di vocaboli e di locuzioni. Il discorso che precede l’altro volgarizzamento è diretto a confutare il Giordani, che stimava inutili le traduzioni dal greco e dal latino. Leopardi si scuopre di molto superiore allo splendido letterato di Piacenza per giustezza e vigore di argomentazione, e per chiarezza e sobrietà di esposizione.

Il suo articoletto critico è forse il brano meglio riuscito delle sue prose, scritto in un momento di vena e di brio, che dà al suo stile una franchezza e una movenza tutta moderna. Ci si vede anche l’ambiente favorevole di Bologna, dove il poeta non si sentiva più solitario, aveva di che soddisfare a’ suoi scarsi bisogni, era circondato di amici e di benevoli, e non era costretto a dissimulare la sua superiorità. Molto bene dové fare al suo spirito la conversazione della Malvezzi, presso alla quale passava le intere serate, attivata da un sentimento, ch’era più che amicizia, e non era amore, ma che gliene creava l’illusione. Certo, non furono piccoli i suoi conforti morali presso una donna, di una grazia e di uno spirito che suppliva alla gioventù, e gli «creava un’illusione maravigliosa». Ed anche alcun conforto doveva trarre dalle riunioni letterarie, dove si sentiva stimato, e dove recitò un giorno tra molti applausi una Epistola a Carlo Pepoli. Se crudele gli fu l’inverno, alla nuova stagione ripigliava le forze e le illusioni, contento soprattutto di vedersi messo in istampa; e questa volta l’edizione dovea comprendere le Opere «tutte quante, con ritratto, cenni biografici, in somma con tutte le cerimonie». Ma le prose furono lasciate stare, e uscirono i Versi del conte Giacomo Leopardi. Ci trovi gl’idillii, le elegie, i sonetti, la Batracomiomachia rifatta, la Satira sopra le donne e l’Epistola al Pepoli, sola poesia composta in quell’anno (1826).

L’Epistola è tutta in versi sciolti, con periodo a onda, con andatura franca e scorrevole, con abbondanza di epiteti, con familiarità di tono. Queste qualità spiccano più dirimpetto allo stile chiuso e concentrato e solenne delle Nuove canzoni. La differenza procede dal genere, essendo chiaro che il poeta ha