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XXXVI

IL NUOVO LEOPARDI

In marzo 1829, scrivendo Leopardi a Colletta, pone tra i suoi castelli in aria, in primo luogo:

Storia di un’anima, romanzo che avrebbe poche avventure estrinseche e queste sarebbero delle più ordinarie: ma racconterebbe le vicende interne di un animo nato nobile e tenero, dal tempo delle prime ricordanze fino alla morte.

Or questa Storia di un’anima non era altro che la storia della sua anima, le cui note fondamentali sono nel Risorgimento, dove con vivace profondità è rappresentata tutta la sua vita intima. Il mondo nella sua mente è già fissato, ridotto a domma, il cui catechismo è nel Risorgimento. Egli è giunto alla conclusione della infelicità universale ed irrimediabile, come ha dimostrato già ne’ suoi dialoghi. Ora non discute più, non dimostra, non lotta, non s’illude. Quel mondo, divenutogli chiaro e fisso come un assioma, è oramai il dato e l’antecedente di ogni sua concezione. E lo tratta come cosa sua, e lo situa e lo fa suonare, cavandone tutte le note che l’istrumento può dare.

Questo concetto del mondo non gli viene innanzi così improvviso che induca nel suo essere una mutazione violenta. Ci è giunto per gradazioni quasi insensibili, e, quando ci si è trovato in mezzo, gli è parso un fatto quasi naturale ed ordinario. Perciò non ci è alcuna proporzione tra un concetto così disperato e la sua vita divenuta per l’abitudine cosa tollerabile. Non è