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forza che si effonde e genera una prosa, di cui non è esempio avanti.

Non è modello di prosa, non prosa astrattamente congegnata, e neppure la prosa sua, perché più tardi te ne creerà un’altra.

È la prosa di quel momento e di quella situazione, in tutte le varietà e le movenze di un’anima schietta. Già fin dal principio il dettato corre fluido, animato, «con pieno spargimento di cuore».

Non c’è ombra più di forme letterarie o convenzionali, non arcaismi, non legami artificiali, non contorsioni, o parentesi, non descrizioni, non cerimonie d’uso.

Il cuore «si sparge» fin dalle prime righe; il giovane si sente felice: «Oh sia benedetto Iddio che mi ha conceduto quello che domandava!». E domandava un uomo di cuore, d’ingegno e di dottrina straordinario, che gli concedesse l’amicizia sua. E ora che l’ha, questo amico, gli parla con «interissima confidenza».

Giordani nella prima lettera lo aveva chiamato un miracolo di Recanati. Aveva toccato, senza saperlo, una corda che mandava gemiti. E il giovane scatta: «Di Recanati non mi parli. M’è tanto cara che mi somministrerebbe le belle idee per un trattato dell’odio della patria!». Parole tanto straordinarie erano un lampo, nunzio di tutta quella tragedia interiore.

Ma Giordani non ci vide nulla, o piuttosto ci vide una tesi astratta, e rispose con un’altra tesi sull’amor della patria, accumulando citazioni e volgarità. E l’uomo risponde al retore, e quella risposta è una delle più eloquenti pagine della nostra prosa.

Prima procede serrato, riassumendo un discorso in una sentenza, in quattro parole, che ti rovesciano interi periodi industriosamente fabbricati. «Plutarco, l’Alfieri amavano Cheronea ed Asti», nota Giordani. «Le amavano, e non vi stavano», è la risposta; «amerò ancor io la mia patria quando ne sarò lontano». Giordani ragiona in astratto; il giovane sta sempre nel vivo e nel vero; nell’uno è rettorica, nell’altro eloquenza. «Qui sei nato, qui ti vuole la provvidenza», dimostra Giordani. «Questa massima», risponde il giovane, che vede dritto e chiaro, «è sorella carnale del fatalismo». «Ma qui tu sei dei primi; in città più