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100 la giovinezza

leggerezza e quella ingratitudine. Era la prima volta che dalla famiglia mi veniva una puntura così acerba. Quanto più alto e puro era il mio ideale della vita, tanto mi appariva più riprovevole quella condotta.

Aggiungi a queste angosce del cuore la vita faticosissima, quasi senza riposo. La mattina ero al Collegio Militare; verso sera andavo a scuola; gl’intervalli della giornata erano riempiuti dalle lezioni private. Metti pure il continuo travaglio della mente sui libri, e quell’aculeo del cervello che è la meditazione, divenuta una abitudine e quasi un fantasticare, quando ci mancava sotto un fondamento serio. Questa era la mia vita. Mancavano quelle lunghe passeggiate che pur mi tenevano su, negli anni passati; mancavano pure le allegre conversazioni giovanili in casa Puoti, de omnibus rebus, che portavano al mio spirito notizia del mondo di fuori e lo dissetavano. La mia vita era monotona, quasi una ripetizione quotidiana. Seppellito nella scuola, sempre nello stesso piccolo cerchio d’idee, il cervello si fissava, e, attivissimo in un punto, rimaneva quasi stupido in tutti gli altri aspetti della vita. Di sentire delicatissimo, quell’ambiente volgare e grossolano in cui ero pur costretto di vivere, mi offendeva e mi guastava i nervi,sí che sempre mi sentivo esule dalla società, e cercavo rifugio nei giovani. Dimagravo a vista d’occhio; ero gracilissimo, spesso infreddato, e passavo i giorni tra tosse e mal di gola. Una buona igiene poteva forse guarirmi; ma ero inesperto e spensierato. Le occupazioni si prendevano tutto il tempo; pure in certi ritagli della giornata contentava la mia voglia sfrenata di leggere, e la mia faccia gialla cadeva sui libri. Quel frequente chinarsi del petto e del capo mi aveva incurvato il dorso. Talora volevo leggere quello ch’era necessario a sapersi per la mia lezione; ma che! cominciato, non finivo più che non finisse il libro. Sceglievo un periodo per la lettura; ma l’un periodo si tirava appresso l’altro, e divoravo le pagine, e passavo ore intere come immemore. Alzando il naso dal libro, mi guardavo intorno, come chi si sveglia e non riconosce ancora il luogo dove si trova.

Un giorno mi venne alle mani un trattato di patologia gene-