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camillo de meis e la mia scuola 131

rato il braccio e la guardava fiso. Era una strega, con la faccia di un rosso carico, che pareva un empiastro. C’era in quella fisonomia non so che d’equivoco. Stetti per dirle: — Vai al diavolo! — ; ma la mia naturale delicatezza mi tenne. E lei diceva: — Via, siate buono; avete fatto il più, fate il meno, solo pochi passi — . E mi si rimise sotto il braccio, e mi tirò seco, ringraziandomi e lodando il mio buon garbo. Andammo ancora un bel tratto, scendendo verso la Marinella, e ci fermammo a un uscio. Lei disse: — Fatemi ancora una grazia; accompagnatemi quassú; faccio una visita e poi vi lascio — . Entrammo in un salotto, dov’erano certe figure, gente di cattivo odore, come a dire falsari di carte, usurai e simil risma. Lei entrò con impeto e disse: — Ecco, vi presento il signor contino. — Ah! — . fecero quelli, e s’inchinarono. — Avete visto? — gridò la strega. — O ch’io era un cencio? o ch’io dicevo bugie? — E gridava per cento, e voleva ragione. Io stavo come un asino in mezzo ai suoni, e non ci capivo nulla, e non volli svergognare la sgualdrina. Quelli facevano scuse, e si tirarono con lei da parte, e parlarono a bassa voce. Poi la mi disse: — Andiamo, signor contino — . Io aveva una grande stizza in corpo. Giunti in istrada, lei con un riso di caricatura mi disse: — Signor contino! Signor contino! — E a me usci di bocca finalmente:— Vai al diavolo! — E volte le spalle, studiai il passo, dicendo: — Dunque, allons, torniamo alla lezione! — 11 di appresso raccontai ai giovani come io era stato conte per un quarto d’ora, e fecero le grandi risa, ammirando la mia semplicità.

XXIV

CAMILLO DE MEIS E LA MIA SCUOLA

La mia casa era così spaziosa, che mi ci pareva naufragare. E quando seppi che voleva abitare con me un giovane appartenente a una famiglia stretta d’antica amicizia con la mia, ci ebbi gusto. E fu un vero acquisto.