Pagina:De Sanctis, Francesco – La giovinezza e studi hegeliani, 1962 – BEIC 1802792.djvu/142

Da Wikisource.
136 la giovinezza

all’amicizia, sali in tale fiducia e in tale dimestichezza, che divenne il confidente intimo di quella gioventù. Pure serbò tanta modestia, che sembrava lui solo ignorasse quello ch’egli valeva.

La scuola s’era arricchita di altri valorosi. C’era venuto Francesco Saverio Arabia, Cirillo di Trani, Paolo Kangian; e tutti si strinsero intorno a De Meis. Questo nucleo di giovani, mantenutosi saldo insino a che durò la scuola, divenne il punto fermo, intorno al quale girava tutto il resto. La scuola prese un’aria di famiglia, penetrata da un solo spirito. Non ricordo mai che un giovane si fosse incollerito della critica fatta al suo lavoro, anche severissima; anzi nacque il costume che si andava a ringraziare l’autore della critica, e seguiva uno scambio di cortesie. Questo ingentiliva gli animi più zotici, e li disponeva a sentimenti nobili. Ceravamo tutti alzati in un’atmosfera elevata, alla quale non pervenivano i rumori della vita comune. Una volta si senti non so che diverbio in sala, e tutti vi prestavano orecchio. Io feci il volto severo, e citai il verso di Dante:

Ché voler ciò udire è bassa voglia.
Si fecero un pizzico. E non avvenne mai più cosa simile.

In mezzo a loro io non prendeva aria professorale. Stavo come amico tra amici, alla buona e in tutta dimestichezza. Ma la mia natura concentrata mi teneva lontano da soverchia familiarità; c’era non so che cosa nell’aria del volto, che non consentiva altrui un soverchio abbandono, e mi manteneva il rispetto. Quando poi si usciva dalle conversazioni e cominciava la lezione, io mi trasformavo addirittura. Avevo un concetto così alto della mia missione, che il mio magistero mi pareva un sacerdozio. Avevo gli occhi bassi, la mente in travaglio, insino a che, preso l’aire, gli occhi s’illuminavano e la voce s’intonava. Tutto questo avveniva con tanta serietà e con tanta sincerità, che produceva una certa comunione delle anime, e non si sentiva un «zitto». Questa era un’aureola che manteneva il mio prestigio, si che bastava una voltata d’occhio per farmi ubbidire. Non mi ricordo mai che nessuno mi abbia risposto.