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160 la giovinezza

indirizzo. Stava strettamente alle opinioni del Marchese, ed era il suo piú fido interprete presso i giovani.

Anche don Francesco, che seppi essere il barone Corvo, assisteva alle mie lezioni, primo a venire, ultimo ad andar via. Aveva preso molta dimestichezza coi giovani, e stava in mezzo a loro, come papà. La sua modestia e il suo riserbo gli mantenevano riverenza, e non ricordo che alcuno abbia mai abusato di quella familiarità. La disciplina si rallenta quando il movimento intellettuale stagna e l’attenzione non è tenuta viva da cose interessanti. Ora, nella scuola non c’erano parentesi, non digressioni; anche parlando a uno, dicevo cose che tutti avevano interesse a sapere, e perché non solevo ripetermi mai, c’era del nuovo che tenea desta la curiosità. Una sera, cominciata già la lezione, entrava Ferdinando Vercillo. Era un giovane elegante, guantato, ricercato nel vestire, e portava un cappello a punta allora in moda, e certi scarpini rumorosi. Fu accolto dai giovani con un suono che voleva dir «zitto!» e che a me parve un sibilo. Questo mi turbò assai. Feci vive lagnanze, dicendo con voce commossa che l’era un fatto grave, senza esempio nella mia scuola. Nessuno fiatò. E io, eccitato dalle mie stesse parole, lasciai li la lezione e non volli continuare, congedai tutti bruscamente. Se ne andarono mogi, in silenzio. Dopo mi fu spiegato il caso, e ripigliai le lezioni. Questa era la disciplina della scuola.

E avvenne un altro scandalo, come io chiamavo queste cose. Capitò un abate su’ trentanni, di cui non faccio il nome. Uscito dalla scuola dei Gesuiti, egli veniva pettoruto, con l’aria di volerci inghiottire tutti. E tutti gli fummo addosso, al primo suo lavoro. Declamava certa orazione, in tre punti, col relativo esordio ed epilogo, con le solite amplificazioni, fermandosi dopo certi periodoni, che gli parevano magnifici e di molto effetto, tutto pavoneggiandosi; e più prendeva il tuono solenne e più ci metteva d’enfasi, e tanto più erano romorose le risa. L’abate, vedendosi sberteggiato, ricalcitrava, tutto rosso dalla stizza, e più s’incolleriva lui, e più si rallegravano gli altri. Io feci il volto grave, e domandai ad uno dei piú allegri il suo giudizio.