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Marchese; e feci la tela, e notai i personaggi, e caldo caldo, scrissi in poche ore il primo atto. Ci sentivo un gusto che mi alleggeriva l’umore; quegli endecasillabi mi venivano facilissimi sotto la penna. Parecchi giorni non pensai, non sentii che di Alessio: secondo il mio costume nessun’altra cosa mi voleva entrare in capo. Cosi in men che due settimane, quasi di un sol fiato, arrivai alla fine. Non mancavano le tirate e le descrizioni; pur qualche cosa era 11 che mi veniva dal cuore.

Avevo stretto amicizia con Enrico Amante, che abitava in un piccolo quartierino a Porta Medina, insieme con suo fratello Alberico. Egli era studente di legge, aveva fatto buoni studi di diritto romano, conosceva assai bene il latino e scriveva l’italiano latinamente. Il suo autore era Giambattista Vico; gli aveva fatto molta impressione quell’opuscolo dell’antica sapienza italica. Vedeva l’Italia in Roma; sembrava un antico romano italianizzato. Parlava come scriveva, alla maniera di Tacito, breve e reciso; era ingenuo e sincero nei suoi sentimenti. Ammirava tutto ciò che è grande e forte; sognava il risorgimento della gente latina, libertà, gloria, grandezza, giustizia. Odiava plebe e preti; c’era in lui anima fiera di patrizio. Lo studio dell’antichità aveva lasciato orme profonde in quello spirito giovanile; quei sentimenti non gli venivano da un’ammirarazione classica o rettorica, ma erano connaturati con lui, fatti sua carne e suo sangue. Non mi ricordo come ci vedemmo e conoscemmo; fatto è che nacque tra noi quella rara comunione di anime, che non si rompe se non per morte. A me parevano molto esagerate le sue opinioni; ma quella sua bontà e sincerità mi vinceva e in quelle sue stesse esagerazioni trovavo una grandezza morale e una caldezza di patriottismo, che mi destavano ammirazione. Andavo spesso in casa sua, e mi ci sentivo più tranquillo, più disposto al lavoro; gli parlavo de’ miei studi, del marchese Puoti. Egli aveva poca inclinazione alle cose letterarie; quella lingua ferrea di Vico gli piaceva più che tutti i lisci e gli ornamenti; non capiva a che fosse buona la poesia. Pure, la mia cultura letteraria, la mia varia erudizione, la sincerità delle mie opinioni e de’ miei sentimenti, la vivacità dell’ingegno e della