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il colera 63

mi era venuta, e non mi venne che assai più tardi, quando non guardavo più al carlino. Giunto in quei vicoli stretti e puzzolenti, che menano a quella brutta Porta Capuana, cominciò un via vai di carri funebri, con preci sommesse, con grida di monelli, che mi fece capire cos’era il colera. Mi strinsi tutto in me, chiusi la bocca e mi turai il naso, come per salvarmi dell’infezione. L’infezione era un fetore acre, che veniva da cessi, da orinatoi, da spazzature, da cenci, da uomini vivi e da uomini morti. Tirai di lungo, quasi scappando, e giunsi affannoso, che il carrozzone era già in via. — Ferma, ferma, cocchiere! — Fermò, e io mi gettai dentro, che per fortuna c’era ancora un ultimo posto. Mi ci accomodai alla meglio, tra la mormorazioni dei viaggiatori, che mi guardavano come si fa a uno straccione, lo non me ne accorgevo; li salutai e offersi loro del rum, ed essi tirarono la mano indietro, come per dir di no. Non ci fu verso di cavar loro una parola, e io che avevo ripreso il mio buon umore, ed ero divenuto tutto ad un tratto comunicativo, ne presi il mio partito, e mi posi a guardare le stelle, sorbendo di volta in volta un po’ di rum.

Giunsi in Avellino che parevo un fantasma, e tirai da Peppangelo, il celebre locandiere a quel tempo. — Signorino, cosa avete? voi mi sembrate uno spirito. — Vado a letto, — diss’io, — e dammi un buon bicchiere di vino, ché la polvere m’ha asciugato la gola — . La mattina lasciai Avellino senza vedere alcuno, con l’aria di un fuggitivo. Prima la via era buona, e io caracollava con un frustino in mano e in aria di bravo, su di una mula. Mi veniva appresso, correndo, il contadino che m’accompagnava. Era innanzi l’alba, e il freddo acuto mi dava un tremolio, specie per le vie umide di Atripalda. Col levarsi del sole la via si faceva sempre più sassosa e ripida, e la mula spaventata e poltra dava salti, tirava calci, chinava le gambe e il collo, e io mi aggrappavo sulla sella per tenermi saldo. Il contadino andava stuzzicando, la bestia, e la pigliava per la coda e la bastonava di santa ragione, imbestialito anche lui, e le due bestie parevano congiurate a farmi cascare. Spesso il cappello rimaneva imbrogliato tra le spine, e talora davo di fronte in qualche albero.