Pagina:De Sanctis, Francesco – La giovinezza e studi hegeliani, 1962 – BEIC 1802792.djvu/79

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casi fortunati 73

piglio insolente, e io abbassai il capo e copiai. Uscii invelenito. Mi tenevo qualcosa di grosso, poco meno che un Cicerone in erba. — -E questo vuol dire fare l’avvocato? non ne voglio più sapere — . E feci il giuramento di Annibale, e non vidi più in vita mia né processi, né tribunali. Toltami così questa fisima dell’avvocheria, i miei studi di lettere presero un nuovo sapore, e mi ci strinsi di più, come a naturali compagni per tutta la mia vita.

Raccontai il fatto al marchese Puoti, che ne rise assai, e mi volle dimostrare ch’io era nato professore. Il maestro di scuola si diruggini ai miei occhi, e prese un aspetto simpatico. Pensavo che di tutte le professioni quella di maestro aveva meno di servile, anzi era addirittura una professione di comando. Io non era affatto superbo, e non volevo comandare a nessuno; anzi stavo contento, per naturale modestia, all’ultimo posto; ma quell’ultimo posto lo volevo prendere io, e non volevo che mi fosse assegnato da altri; mi piaceva essere uguale tra uguali, e a chi pretendeva starmi al disopra mi ribellavo.

Il Marchese era allora passato ad abitare in un secondo piano, nella via Costantinopoli. La gioventù affluiva sempre, ed egli affidava a me i più ignoranti, a fine di scozzonarli, perché la scuola non aveva più con essi quell’aria di nuovo e di curioso, quello splendore, e il Marchese ci si seccava visibilmente. Amava meglio starsene tra pochi valorosi già sperimentati. Quel fare atto di pazienza coi novizi ritrosi e riottosi poco gli andava. Cessato il colera, se n’era venuto di Arienzo, con certi grossi quaderni scritti di suo pugno. Era una specie di nuova rettorica immaginata da lui, e che egli battezzò Arte dello scrivere. C’era una divisione dei diversi generi dello scrivere, accompagnata da regole e da precetti. Aristotile, Cicerone, Quintiliano, Seneca erano la decorazione. — O mi metteranno alla berlina, o questo è assolutamente un capolavoro — , così diceva, narrando per quali vie era giunto alla grande scoperta. A quel tempo erano in gran voga gli studi filosofici, e il Marchese, seguendo la moda, volle filosofare anche lui, e dava alle sue ricerche un aspetto e un rigore di logica, ch’era veste e non sostanza. E non gli sarebbe