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le lezioni di grammatica 89

ora con le anticaglie, ne sai abbastanza — . Certo, se io mi fossi dato a quegli studi e li avessi seguiti con tenacitá, sarei riuscito un gran deciferatore di manoscritti e di papiri, ché ci avevo pazienza e buon occhio. Ma la vanità mi prese. Mi sentivo rodere quando mi chiamavano «il grammatico». Quella collaborazione col Puoti mi aveva impedantito agli occhi di molti. Le lodi che si facevano a Gatti, a Cusani, ad Ajello, che per gli studi filosofici erano in candeliere, mi davano una inquietudine, di cui non avevo coscienza chiara, ma che pur sentivo nelle ossa. Mi venivano nella memoria i miei antichi studi di filosofia, e quei Salviati e quei Castelvetri mi parevano addirittura pigmei dirimpetto a quei grandi, mia delizia un giorno g mio amore. Perciò mi gettai con avidità sopra i retori e i grammatici del secolo decimottavo, con un segreto che mi cresceva l’appetito, vedendomi sempre addosso gli occhi del Marchese. Lessi tutto il corso che Condillac aveva compilato a uso di non so qual principe ereditario. Studiai molto Tracy e Dumarsais. Il Marchese, saputo dei miei studi, mi perdonò, a patto che non valicassi i confini della grammatica, e m’indicò un tale, che ora non ricordo, come un buon scrittore di grammatica generale. Io leggeva tutto, il buono, il cattivo e il mediocre, grammatiche ragionate, filosofiche e comparate. Quel cinquecentisti mi facevano stomaco; mi ribellai contro l’antico me, chiamando pedanteria tutto quello che due anni prima mi pareva l’apice del sapere: De Stefano e Rodinò mi si erano impiccoliti, e montai in superbia, e presi aria di filosofo. Cosi ero fatto io, quando il Marchese mi diede a scozzonare quella brava gioventù. Il mio scopo doveva essere di apparecchiare i giovani alla scuola del Puoti; doveva essere una scuola preparatoria; ma quando mi sentivo lontano dagli occhi del Marchese, mi si scioglieva la lingua, e mi abbandonavo sfrenatamente al mio genio, e davo del pedante a dritta e a manca, e avevo sempre in bocca la Scienza.

Tra i miei scartafacci pescai un giorno alcune prolusioni di quel tempo, delle quali diedi molti brani nei nuovi Saggi critici. Il Marchese le avea rivedute, e ci aveva messo quello stampo tutto suo di classicità ideale. Ivi io me la prendo contro