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96 la poesia cavalleresca

carnagione. L’ottava ariostesca comprende un’idea in un periodo ricchissimo di accessorii. Non bisogna, lodandolo, dimenticare i suoi predecessori, che furono: come creatore di questa semplicità omerica Boccaccio, e dell’ottava Poliziano. L’Ariosto si è formato sul Poliziano, che non rappresentando oggetti importanti ha creata un’ottava d’eleganza squisita, ma monotona e impacciata. L’Ariosto, senza sottrar nulla all’eleganza, ha sciolto quell’impaccio, ha rotta quella monotonia.

Tal’è la forma ariostesca ed il contenuto ch’essa nasconde. Mediante tanta potenza realizzatrice ha potuto dare serietà estetica al mondo cavalleresco. Ma vi è al di sotto una serietà reale?

L’autore vi prende parte o rimane come un segregato e lontano spettatore senza mischiarvisi mai? Talora il mondo rappresentato è fantastico per le avventure, ma reale pel fondo. Così per esempio è il mondo omerico. Accade quando il poeta appartiene a quel fondo sociale ch’è ancor vivo e desta l’interesse in lui sicché confondendosi con l’oggetto divengano una cosa. Ma quando l’ordito e il fondo sociale sono parimenti immaginarii, se il poeta può dargli vita con l’immaginazione ha de’ subiti ritorni di realtà: con un sorriso, con una caricatura, strappandovi da quella visione vi richiama alla realtà. Questa l’ironia dell’Ariosto, che talora giunge sino al persiflage, talora è sì fina e sfumata da scernersi difficilmente. La sua ironia è implacabile quando ha innanzi la parte epica; ma la tempera e sfuma quando ha innanzi la parte romanzesca.

La macchina epica è l’intervento del soprannaturale. Anche l’Ariosto l’ha introdotta per dissolverla con l’ironia. Carlomagno la vigilia della battaglia si volge a Dio, il quale, impietositosi, manda Michele a prendere il Silenzio che faccia giungere Rinaldo con gl’Inglesi non visto a Parigi, e la Discordia, che semini zizzania fra’ pagani. Tal’è la macchina burlesca che l’Ariosto ha inventata; e qui l’ironia divien facezia e beffa. Ma quando deve rappresentare passioni umane, sparisce l’ironia. Non per questo l’Ariosto si commuove o commuove: il suo regno riman sempre il regno dell’immaginazione: checché racconti,