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i22 la poesia cavalleresca


Ariosto ha scartato il tragico, descrive un bel fenomeno: è rimasto Ariosto:

     Come ceppo talor, che le medolle
Rare e vote abbia, e posto al foco sia.
Poi che per gran calor quell’aria molle
Resta consunta ch’in mezzo l’empia,
Dentro risuona e con strepito bolle
Tanto che quel furor trovi la via;
Cosí murmura e stride e si corruccia
Quel mirto offeso, e alfine apre la buccia.

Il conciso di Dante va al cuore; questa larga esposizione non vi lascia sentire il tragico. Quando Pier della Vigna apre la bocca, parla da uomo offeso; vi fa pietà: «perché mi scerpe?»; sentite le membra dell’uomo strappate sotto i rami dell’albero. Astolfo parla da leggiadro paladino:

     Onde con mesta e flebil voce uscio
Espedita e chiarissima favella,
E disse: — Se tu sei cortese e pio,
Come dimostri alla presenza bella... —

Vedete l’uomo leggiero e vanitoso. Narra con freddezza. Basta questo breve paragone. Astolfo ammonisce Ruggiero; ma Ruggiero non ne tien conto.

Tre sono i giardini poetici italiani: quello del Poliziano, quello d’Armida, quello d’Alcina, ch’è una miniatura. È un giardino molle ed effeminato:

     Qui, dove con serena e lieta fronte
Par ch’ognor rida il grazioso Aprile,
Gioveni e donne son: qual presso a fonte
Canta con dolce e dilettoso stile:
Qual d’un arbore all’ombra, e qual d’un monte,
O giuoca, o danza, o fa cosa non vile;
E qual, lungi dagli altri, a un suo fedele,
Discuopre l’amorose sue querele.