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i38 la poesia cavalleresca

veleno a poco a poco, fluttuando tra il timore e la speranza; ed il poeta ha più campo di spiegare le sensazioni di Orlando.

Nel primo stadio il sentimento non si rivela con tutta la sua forza, perché rimane l’adito aperto a sofismi consolatori. Nella grotta, la certezza aumenta; riceve una tale impressione che riconoscete non aver che fare con un uomo dalle passioni deboli. Ma il fatto giunge ad un terzo momento. Orlando lascia la grotta, creandosi sofismi. Crede e vuole e spera, che qualcuno abbia fatta quella iscrizione per infamare Angelica. L’Ariosto non si mescola con Orlando. Sta sempre distante ed indifferente; le passioni in lui sono sempre temperate dall’immaginazione. Mentre Orlando cammina in si poca speranza, il poeta descrive certe scene pastorali che distraggono la fantasia. Vede il fumo sui tetti, ode i muggiti degli armenti, i latrati dei cani; ci presenta i garzoni affaccendati intorno ad Orlando, giunto all’albergo. L’albergo era la casa dove aveva soggiornato Angelica con Medoro:

Corcarsi Orlando e non mangiar domanda,
Di dolor sazio e non d’altra vivanda.


Sulle mura, sulle finestre, sulla porta vede scritto A e M:

... dell’odiato scritto ogni parete.
Ogni uscio, ogni finestra era dipinto.


Ecco l’ultima gradazione che deve sviluppare gli ultimi sentimenti d’Orlando. Fin qui sofisticava non avendo a chi domandare: ora gli viene in capo di chiamare il pastore; ma si arresta e gli manca il coraggio; e potendo chiarirsi, preferisce rimaner nel dubbio, perché sapeva che i suoi, in fondo, erano sofismi.

Qui avviene un altro cambiamento di scena. Nulla stagna qui: abbozza, passa oltre, e muta la scena e l’animo. Il pastore si presenta non chiamato, e da bestia pastore, per consolarlo, gli racconta la storia d’Angelica e Medoro. Con quanto artifizio è narrata la storia del pastore, che batte e ribatte sulle circo-