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iii. pietro metastasio i93

non è scopo, è un’occasione a mettere in mostra la parola. Fenomeno che accompagna sempre ogni decadenza letteraria, quando il contenuto è esaurito, ma non è esaurito ancora lo spirito che ci lavora attorno, il quale nella piena indifferenza del contenuto adopera la sua forza intorno all’espressione. Abbondano i concetti, le descrizioni, le amplificazioni, le cadenze e le cantilene. La parola, lavorata non come espressione, ma come parola, sviluppa i suoi mezzi cantabili e musicali, è vuota sonoritá, un bel suono. Questo che parve allora una riforma, fu stimata piú tardi una corruzione, rimasta proverbiale sotto nome di seicentismo.

Metastasio visse dal 1698 al 1782. La sua vita riempie quasi tutto il secolo XVIII, il secolo di Voltaire e di Rousseau, di Parini e di Alfieri, di Vico e di Beccaria. In questo secolo immortale fu la crisi del pensiero moderno, che condensato e formulato giunse allora al suo massimo grado di energia e di diffusione. Uno spirito nuovo penetrava in tutte le forme dell’attivitá umana, religione, filosofia, politica, morale, economia, legislazione, letteratura. Il motto del secolo era: riforma. E l’impulso fu cosí potente che i principi stessi si fecero capi delle riforme, Federico II, Maria Teresa, Giuseppe II, Caterina di Russia, Carlo Emanuele di Savoia, Leopoldo di Toscana, Carlo III e Ferdinando di Napoli, e fino papa Ganganelli, che al nuovo Iddio offerse in olocausto i gesuiti. Beccaria, Verri, Vico, Giannone, Genovesi, Filangieri, Galiani, Gioia, erano riformatori, o come si dicea, novatori. In quel rapido movimento d’idee fu tratta anche la letteratura, e i piú celebri scrittori si atteggiarono a riformatori. Carlo Goldoni tentava una riforma della commedia, e una riforma della farsa popolare tentava Carlo Gozzi. Vincenzo Gravina voleva riformare la tragedia, come piú tardi tentarono Scipione Maffei e Alfieri; Parini tentò una riforma della lirica. L’Arcadia non era ella medesima che una riforma letteraria, una lega degli uomini di buon senso contro le stravaganze del seicentismo. La critica fu penetrata dello stesso spirito. Il Gravina nella Ragion poetica poneva in quistione tutti i principi dell’arte generalmente ammessi; il Bettinelli nelle

F. de Sanctis, La poesia cavalleresca. i3