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vista di que’ monumenti che dicevano patria, libertá, gloria, grandezza nazionale, Roma, Italia. Il buon Cesare d’Azeglio non tenea conto della nuova generazione, e promettea troppo al Pontefice della sua Torino; non sapeva che di mezzo ai teologi sarebbe sorto Vincenzo Gioberti, di mezzo ai cattolici sarebbe sorto Cesare Balbo, di mezzo all’aristocrazia sarebbe sorto Cavour, e gli sarebbe sorto in casa Massimo d’Azeglio.

Questo grande italiano ha vissuto abbastanza per veder quasi compiuto il lavoro della nuova generazione, della quale è stato si gran parte. Egli ha fatto il suo dovere, e noi oggi adempiamo il nostro onorando con pubblico lutto la sua memoria e commemorando la sua vita.

Nella storia di Massimo d’Azeglio c’è un po’ la storia di tutti; ogni uomo di qualche valore ha dovuto, come lui, prima subire una cattiva istruzione, poi ristudiare, rifarsi una educazione, aprirsi lui la propria via; e quando giunse l’ora dell’opera ha dovuto gittarsi dietro gli studii e divenire soldato d’Italia.

Massimo d’Azeglio ha dovuto lottare sino a venti anni contro i maestri, contro la famiglia, contro la sua classe, contro quello spirito redivivo del medio evo che si chiamava la ristorazione. Il suo maestro, un ecclesiastico, lo tribolava col suo latino, e con la storia antica, co’ medi, gli assiri, i persiani, gli egiziani. Al padre dovea parere un capriccioso. E il suo capriccio era che volea andare a Roma, e farsi artista. Roma gli ha guasto il capo, dicea il padre. Come cadetto di nobil famiglia. Massimo non potea essere un artista; dovea essere o prete o soldato. A sedici anni fu dunque fatto ufficiale di cavalleria. Era un bello ufficiale, di alta statura, svelto nella persona, destro nel maneggio del cavallo, capo scarico, da cui erano fuggiti medi, assiri, persiani, egiziani e il latino. Il cadetto era salvato, ma l’uomo era perduto. Tutto quell’ardore giovanile, quel soverchio di vita egli lo riversò ne’ piaceri, a’ quali si diede abbandonatamente, e dove se qualche cosa dava ancor segno della sua non volgare natura, era il brio, la grazia che ci mettea in certo amabile folleggiare pieno di spirito e di buon umore che rivelava l’ingegno. Cosi alcuni nobili giovani furono educati e cosí furono