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missione. Quando non potè piú essere utile in Torino, andò a Londra a propagarvi le simpatie per l’Italia e a spianare la via a Cavour. Accettò gli uffizii commessigli, non domandando se erano eguali al suo merito, ma se potea farvi alcun bene. Quando gli parve utile dare un consiglio al paese, lo fece con semplicitá pari al coraggio, senza domandarsi dove spirava il vento, dove piegava l’aura popolare. Un giorno, quando tutti gridavano Roma capitale, egli disse: Firenze! e subí in silenzio i sarcasmi di Cavour e il disfavor popolare. Un altro giorno, tra l’incessante grido: Roma e Venezia! egli fé’ sentire questa voce severa al paese: Consolidiamo lo acquistato; a Roma e a Venezia si penserá poi. In questi tempi di mezzi caratteri e di mezze passioni, quando l’uomo politico pone la sua abilitá a rimanere in una luce equivoca, e serbarsi per molti programmi, D’Azeglio osò dire ad alta voce quello che è nell’animo di molti, e raccogliere sul suo capo tutta l’impopolaritá di una politica che giudicava utile al suo paese.

Negli ultimi tempi lo vedevi andar per le vie di Torino, co’ segni giá visibili di uomo stanco; incurvo il capo, cascante la persona, lente e abbandonate le mosse; quell’uomo vivea giá nel suo passato, pensava alle sue Memorie. Moriva scrivendo; le ultime pagine erano consacrate all’amicizia, furono un affettuoso ricordo di Tommaso Grossi. Giá si era fatto dimestico con la seconda vita, e scrisse alcune pagine sull’immortalitá dello Spirito. Presso al letto dell’infermitá stavano uomini di tutte le parti d’Italia, alle cui lacrime si mescolavano lacrime regie. Tra le ultime parole furono udite queste: non posso fare piú niente per l’Italia. Tutta la sua vita fu data all’Italia; l’Italia fu l’ultimo pensiero della sua vita.

Ed ora, addio! Massimo d’Azeglio. Comincia giá per te la seconda vita nella memoria di quell’Italia che tanto amasti. Le prime pagine le abbiamo scritte oggi: felici se potremo continuarle a Roma, quando vi fonderemo il Pantheon de’ grandi Italiani, e vi porremo la tua statua!