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ciossiaché» da far paura: ne parve un capolavoro. Come ci batteva il cuore a tutti e due! Con che impazienza aspettavamo il gran di! E venne, finalmente: il mio amico fu per venirne matto. Non poteva staccar gli occhi dal suo lavoro messo in istampa; lo compitava, lo vagheggiava lettera per lettera; non gli era parso mai cosí bello, e gli pareva che la fama dovesse portarlo in tutti e quattro i canti d’Europa. Qualche volta ci ripetevamo costernati: — E se lo sapesse il marchese? — . Piú spesso dicevamo: — Che ne diranno i giornali? — . Aspettavamo lodi, applausi, conforti... crudele fortuna! Il di appresso, ecco un villano articolo, che ti gitta nella polvere il tanto sudato lavoro. Diceva a un di presso cosí: «L’autore dee essere un purista, della scuola del marchese Puoti; ha stemperato in un diluvio di frasi vuote e sonore ciò che andava detto in appena due periodi». E facendosi di giudice maestro, riduceva in effetti in meno che mezza pagina tre pagine di racconto, con molta naturalezza e con piú spirito. Ohimè! Ohimè! Addio, sogni di gloria! il mio amico furibondo gittò l’occhio in piè della pagina e lesse sottoscritto: Lorenzo Borsini. Infame Borsini! Scellerato Borsini! quante bestemmie, quante imprecazioni contro l’odiato nome! Tu avevi distrutto, inconsapevole Lorenzo, cento sogni dorati. Non te la perdonò piú; ti giurò un odio eterno; avrebbe voluto... non trovava un supplizio bastante, stava nell’attitudine tragica del quos ego... La sera andammo alla lezione, pensa con qual cuore: — Che dirá il marchese? — . Avevamo la faccia di due condannati. Entrando ci pareva che tutti gli occhi fossero sopra di noi, che gli occhi del marchese gettassero fiamme; ciascuna volta che apriva la bocca, ci sembrava che pronunziasse la nostra sentenza. Ci eravamo rassicurati alquanto, allorché il marchese esce in una delle sue contro i giornalisti, e ciascuno a dire la sua. Tremavamo come foglie. Ed eccoti uno stordito entrare in iscena e raccontare l’orribile caso. Fu uno scompiglio, una tempesta di esclamazioni, di proteste, un guardarsi in viso. — Chi è stato? — Chi è? — Ti pare? — Io per me... — Ne’ giornali io? — Io ne’ giornali? — Ciascuno se ne lavava le mani, anche noi, ben inteso;