Pagina:De Sanctis, Francesco – La poesia cavalleresca e scritti vari, 1954 – BEIC 1801106.djvu/300

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la scuola 295

vezzandoli alla serietá e precisione del disegno, alla correzione e proprietá dell’espressione, e svegliando in loro quel vigore e nesso logico, che manca alla piú parte dei nostri scrittori. Credo piú utile questo esercizio che le grammatiche, le rettoriche, le arti dello scrivere e le logiche. E qui altre difficoltá. Mi son veduto piovere addosso drammi e commedie, gli argomenti piú semplici prendevano le proporzioni di un libro, piú povera era l’esecuzione e piú vasta era la concezione. I giovani sono inclinati al generalizzare, e quanto minore è in loro il senso pratico e positivo della vita, tanto piú vi abbonda l’immaginazione, e stanno volentieri nel vago, nell’indefinito. Aggiungi le nostre enciclopedie, le nostre filosofie della storia, i nostri sedicenti corsi ideali, e, con queste tendenze e con tutta questa roba in capo, la nuova generazione osa chiamarsi positiva. Una volta diedi questo tema: «Fatemi un ritratto del Pulcinella». Avevo innanzi il bel ritratto di Goethe, cosí succoso nella sua brevitá1. Ed ecco sfilarmi davanti de’ veri trattati su quella maschera, e delle farse, e fino delle commedie. Il piú bello è che Pulcinella rimase annegato fra tante qualitá che gli affibbiarono, spesso contradittorie, sicché dovè parere a molti un personaggio assurdo. Mancava la forza di cogliere in tante varietá apparenti la nota fondamentale, che dá un carattere a quella maschera. Tre venerdí furono consacrati a questa discussione. Ci furono una ventina di lavori, parte letti e discussi, parte esaminati da me in modo sommario. Un venerdí lesse il suo lavoro Giorgio Arcoleo. Si fece subito silenzio, c’era una certa aspettazione. Un altro suo lavoro l’avea giá messo tra’ migliori, e nella scuola si forma presto una gerarchia naturale e riconosciuta, la gerarchia dell’ingegno. Il suo lavoro fu udito con molta attenzione, e in parecchi punti ’interrotto da segni non dubbi di approvazione. Io voglio farvelo sentire2.

— O che roba! mi direte. Non si poteva mo’ dire questo medesimo in due pagine? — Fatto è che agli uditori non parve

  1. Nel suo Carnevale, parte II del Faust.
  2. [Seguiva la lettura del lavoro dell’Arcoleo. Lo si veda nella Nota, pp. 36i-368].