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Pagina:De Sanctis, Francesco – La poesia cavalleresca e scritti vari, 1954 – BEIC 1801106.djvu/324

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LE STRENNE


In vita mia non ho mai scritto in nessuna strenna. Una monografia sulle strenne sarebbe un libro curiosissimo, che ti farebbe sfilare davanti molti uomini celebri, oggi dimenticati, e ti darebbe un quadro vivente della nostra cultura letteraria nella sua rapida vicenda. Il futuro storico cerchi pure, non vi troverá mai il mio nome. Nella mia prima gioventú, quando ero tutto dietro a combattere la rettorica, sentivo in quelle strenne un non so che arcadico, e mi pareva che quei sonetti, e quelle canzoni, e le leggende, e le prose storiche non esprimessero alcun sentimento vero e lasciassero vuoto lo spirito. Poi mi spiaceva di vedere gli adolescenti arrampicarsi a quel Parnaso per contemplarsi stampati accanto a qualche grand’uomo, e vietava ai miei giovani di cercar fama prematura scrivendo in quelle pagine. Ma ora ho mutato avviso, amici miei, e accetto volentieri il vostro invito. In questa vita tempestosa, piena di fastidi e di travagli, nella quale l’uomo è lupo all’uomo, e ci divoriamo gli uni gli altri con tranquillitá di filosofi che hanno alzato il fatto a legge di natura, sotto il bel nome di lotta per resistenza, lice un po’ d’Arcadia, almeno una volta l’anno, celebrando coi bambini la festa del Natale. Il bambino, con quei suoi occhi profondi e sereni, non è ancora persona, non è cosa terrena. Esso è l’ideale attonito, inconsapevole, «pur mo’ nato», il primo schizzo, in cui si riflette e si forma la stoffa del grande artista. Dice Platone che il bambino è ricordevole; io dico che ricordevole è l’artista, perché nessun grande artista è veramente che non senta in sé del bambino. E il bambino è quella bono