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Pagina:De Sanctis, Francesco – La poesia cavalleresca e scritti vari, 1954 – BEIC 1801106.djvu/347

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il quale, giovinetto diciottenne, assisteva al corso e scriveva durante la lezione. Il suo compito di raccoglitore era agevolato dal fatto che il De Sanctis, rivolgendosi a stranieri, doveva parlare lentamente per essere compreso. Le lezioni cosí trascritte venivano poi riviste dal maestro, come ci attesta l’Imbriani e lo stesso De Sanctis1. Il manoscritto, adesso alla Biblioteca Nazionale di Napoli (XVI. C. 36 delle carte desanctisiane), consta di fogli del formato di un quaderno; la scrittura è ovunque la stessa, facile sempre, ma piú calligrafica e accurata nelle prime pagine, piú corrente nel resto, con correzioni e aggiunte eseguite in parte nel momento stesso in cui si scriveva il testo e in parti in un secondo tempo, come sembra di poter desumere dal colore diverso dell’inchiostro. Le citazioni dei versi, molto numerose, di solito sono fatte indicando solamente il canto e l’ottava, ma lasciando uno spazio bianco per l’aggiunta posteriore, che tuttavia molto spesso manca. Ogni tanto, specialmente alla fine delle lezioni, ci sono mezze pagine, o pagine, o piú pagine bianche; nel manoscritto non vi sono titoli di nessun genere; e anche il titolo La poesia cavalleresca è del Croce.

Il Croce, pubblicando per la prima volta nel i898 queste pagine (in F. de Sanctis, Scritti vari inediti o rari, vol. I, Napoli, Morano), con criteri che vedremo piú oltre, mandò il manoscritto dell’Imbriani in tipografia, correggendo, modificando, cancellando, inserendo versi e citazioni che prima erano solo indicate, e tutto ciò scrivendo direttamente sull’originale, mentre talvolta sopra a questo incollò dei foglietti suoi.



  1. «Non voglio finire senza parlarti di Vittorio [Imbriani]: buonissimo giovane, pieno di zelo, che studia il tedesco con ardore ed assiste alle mie lezioni con molta attenzione. Ieri mi ha portato il riassunto della prima lezione, ed era molto ben fatto» (lettera del D. S. a Camillo de Meis, del 22 ottobre 1858, in F. d. S., Lettere dall’esilio, cit., p. i94). «...come tengo sempre gli occhi sul quaderno sforzandomi di afferrar con la penna i suoi caldi pensieri nelle sue proprie calde espressioni, non mi è concesso di goderle in tutto il loro effetto, perché non posso vedere né il gesto né la fisiognomia del possente improvvisatore» (lettera dell’Imbriani ai genitori, del novembre del i858, op. cit., p. 202). «Giorni fa in una stupenda lezione sulla natura del contenuto Romanzesco, per dare un’idea della forza de’ paladini, riferí ciò che Turpino dice di Carlo magno: che avesse otto de’ proprii piedi (piedi straordinariamente lunghi) di altezza, che avesse la fronte lunga un piede, il naso lungo un palmo, ecc. M’era sfuggito un periodo importante: volli tentare di supplirlo prima di leggere al Professore il mio sunto, [il corsivo è nostro - N. d. R.] Ricorsi ai miei carissimi condiscepoli; ma ebbi un bel interrogarli; di tutta la lezione ricordavano solo che Carlomagno aveva otto piedi d’altezza e un palmo di naso». {op. cit., p. 204, lettera dello stesso Imbriani, cit.).