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iv. l’«orlando innamorato» 65

tanto nella natura delle cose che il poema del Boiardo è dimenticato e quello del Berni è rimasto.

Non dobbiamo esser ingiusti e disconoscer ch’egli sia l’inventore della più parte dei fatti ricreati dall’Ariosto e dal Tasso. Esamineremo il suo poema seriamente, come egli l’aveva concepito.

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Ne’ sette canti compendiativi v’ho presentata quasi un’introduzione al poema del Boiardo. Le due azioni, narrate, cominciano, continuano e finiscono col settimo canto: sicché il poema inaridirebbe sul bel principio ove venissero considerate come azioni integrali del poema; ma è una larga introduzione che ci fa conoscere i personaggi. Il poema sembra finito laddove veramente principia. Giacché, se Angelica non ha fatto materialmente prigioni i Paladini, li ha però fatti prigioni con gli occhi, con la bellezza; e, ritirandosi nel Cataio, non va sola, ma è seguita da’ principali cavalieri di Francia e di Spagna. Dimentichiamo la Francia Parigi e Carlomagno, con cui era cominciato il poema; e l’interesse si concentra in Angelica e ne’ cavalieri che la seguitano. Angelica è il vero centro d’azione.

Angelica, camminando con l’anello, cioè vedente non veduta, giunge al fonte di Merlino nella foresta d’Ardenna, dove erano due fontane incantate. Chi beve dell’una s’innamora, chi beve dell’altra disama la persona che amava, e Ranaldo assetato ed Angelica assetata giungono lá. Angelica s’innamora di Ranaldo, Ranaldo tramuta il suo amore in odio feroce. Angelica gli si scopre e gli dichiara il suo amore. Ranaldo la rifiuta. Essa torna nel Cataio, dove era Malagigi, da lei fatto prigione, e gli dà la libertá, a condizione che le procacci l’amore di Ranaldo. Malagigi torna in Francia; ma Ranaldo lo vuol piuttosto veder ritornare in prigione che far le voglie di Angelica. Malagigi fa prendere ad un demonio la forma di Gradasso, e fa ch’e’ fínga di fuggire innanzi a Ranaldo. Ranaldo gli tien dietro, e dietro lui salta in una barchetta incantata che lo conduce in un’isola dov’era Angelica, ch’egli schiva come un serpente, ri-

F. de Sanctis, La poesia cavalleresca. 5